martedì 22 marzo 2011

Recensione film: Dylan Dog (2011)


Una merda. Non ci sono altre parole per definire Dylan Dog, l'ultimo scempio visto al cinema domenica sera. Il simpatico Brandon Routh (ovviamente subito risoprannominato Brandon Rutto) e il suo compare idiota Marcus, alias Sam Huntington, che non vedevo dai tempi del kolossal Da giungla a giungla, sono riusciti non solo a farmi venire la sonnolenza per la prima parte del film, ma a farmi venire l'istinto di alzarmi ed andare via nella seconda. Un film squallido, ambientato in Louisiana, dove Dylan Dog mai e poi mai avrebbe potuto vivere, con alcune frasi tipiche di Dylan buttate a casaccio qua e là, e una serie di dialoghi orridi, che hanno fatto ridere solo 4 (ripeto, 4) persone su circa 150 che eravamo in sala. 
Una recitazione così penosa non si vedeva dai tempi dell'oramai noto Augusto Rusco. Tra Huntington, Rutto, e Anita Briem non si capisce chi faccia peggio. Forse proprio la Briem.
Il film è una sorta di Blade 4 ridylandogghizzato, con una presenza di vampiri fuori misura, effettacci speciali da primi anni 2000, scene prese direttamente da Last Days - Giorni contati e una trama le cui linee guida sono già chiare al decimo minuto di film, ma che non sempre risulta chiara, anzi, è facilissimo perdersi nei suoi deliri e nel suo malfatto taglio fumettesco.
Non si capisce, infatti, cosa questo film voglia essere. Un remake? Un omaggio a Sclavi, peraltro citato più volte? A mio avviso, semplicemente uno schifo. Mi dispiace che un attore del calibro di Peter Stormare abbia accettato di prendere parte allo scempio. Lui, però, è l'unico che come recitazione si salva. 
In conclusione, il mio consiglio spassionato è di stare alla larga dall'obbrobrio, sia in modo da tenersi 8 euro per fare altro, sia per tenersi i 15 -20 euro che costeranno il dvd e il blu-ray che tra qualche mese occuperanno impunemente spazio prezioso negli scaffali dei negozi di tutta Italia.

domenica 6 marzo 2011

Recensione film: La vita facile (Italia, 2011)

Sono appena tornato dalla visione di La vita facile, il nuovo film di Lucio Pellegrini con Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Vittoria Puccini, e Camilla Filippi. E sono rimasto abbastanza soddisfatto della visione.
Dico abbastanza, perché qualcosa da limare in effetti c'è, ma la commedia è davvero ben girata e ben recitata, pertanto le si può perdonare più di qualcosa.
Ambientato in Kenia, il film racconta la storia di due amici medici, entrambi, a loro modo, bastardi, e interpretati da un Favino a metà tra Alberto Sordi e Carlo Verdone, e da Accorsi, sempre più gigione, come tradizione vuole. Tra di essi una Vittoria Puccini nella media, non sempre credibile e spontanea come ci aspetteremmo.
Per una volta, e qui sta il grande pregio del film, la cornice africana resta solo una cornice. I dialoghi e gli sketch di cui i nostri sono protagonisti la fanno da padrone, e i bambini e le tribù africane restano sempre in secondo piano, senza che lo spettatore abbia l'impressione che il regista punti sullo strappalacrime, sugli stereotipi legati ai bambini di pelle nera, sui panorami mozzafiato, al fine di mascherare una trama piatta e balorda, cosa successa ad esempio in quel capolavoro del becero chiamato Che ne sarà di noi.
Qui, a parte una partita di calcio che si poteva evitare di girare, la regia è stata veramente attentissima a non cadere quasi mai nel banale e nel didascalico, che vanno di pari passo. A Favino tocca la parte dell'italiano medio, bastardo ma tremendamente simpatico e capace di trainare il grosso delle risate in sala in modo del tutto spontaneo. Nel complesso, sembra il migliore, seguito subito dopo da Accorsi che non se la cava male, ma è sempre legato a quelle espressioni miagolose che tanto hanno fatto la sua fortuna in passato. 
Cosa c'è allora che non va? Ci sono un paio di scene al rallentatore francamente brutte e incomprensibili. E' un rallenty scattoso che francamente non ci sta a dir nulla, dato che dura pochi secondi in 2 scene che potevano tranquillamente essere girate normalmente.
Il finale, poi, è maledettamente prevedibile. Anzi, direi proprio scontato. Peccato, perchè il 90% del film fila via davvero liscio tra gli sketch dei due nostri, e ci aspetteremmo un finale non così scontato, come quello propinato, che è, in realtà, uno pseudo-non-scontato. E', cioè, il modo classico di far finire un film cercando la soluzione "all'italiana", ma in realtà si poteva fare ben di più e cercare qualcosa di davvero nuovo e originale. 
Tuttavia, la sapiente regia di Pellegrini salva il lavoro che, per quel che mi riguarda, risulta ampiamente sopra la sufficienza. E' un 7/10.