giovedì 16 ottobre 2008

Recensione: Jumper (2008)

Ieri sera per cercare di dimenticare i componenti lineari dei circuiti ho deciso di rilassarmi guardandomi Jumper, film di cui avevo sentito parlare alcuni mesi fa. Dando un'occhiata al cast, ho subito capito di che pasta sarebbe stata fatta il film, grazie alla presenza di Samuel L. Jackson, che in 36 anni di carriera e 117 film all'attivo ha partecipato solo a 2 lungometraggi decenti. Pertanto, per la teoria delle probabilità, avevo escluso a priori che questo fosse il 3° bel film della carriera di Samuel.
E difatti, già al 4° minuto di proiezione, dopo aver già visto 2 pubblicità occulte di Carhart e Nokia e aver sentito il protagonista che dice "Una volta ero un ragazzo normale, un imbranato, come voi", ho compreso l'opinione che gli sceneggiatori avevano di me e del pubblico quando hanno scritto questo film sui rotoli di carta igienica.
Il film narra la storia di un deficiente con seri problemi corpontamentali che scopre di potersi teletrasportare ovunque desideri, con la preferenza particolare per i caveau delle banche. A fermare il teppista ci penserà Jackson, capo dei bigottissimi Paladini, che hanno come unica ragione di vita quella di eliminare i jumper dalla faccia della terra.
Le scene pecorecce girate a Roma sono alla pari di quelle che J.J. Abrams ha girato nella capitale per Mission Impossible 3, con tanto di carabinieri con pistola spianata, Taxi con l'insegna RadioBruno, e così via.
Il film è stato pubblicizzato come il nuovo Matrix. Non commento neanche questa affermazione patetica. Spesso sembra pure di vedere The Bourne Identity, segno che Doug Liman da quel film è rimasto così schockato da riproporlo in eterno con titoli diversi.
Dialoghi melensi e inutili, tanta azione, attori giovani e pietosi. e ogni tanto qualche scena violenta e altrettanto inutile. Che altro poter dire? Sconsigliato.