martedì 29 luglio 2008

Recensione: Cannibal Holocaust (1980)


Per movimentare un po' la serata ho scelto di dare un occhio a Cannibal Holocaust, film che fece e continua a fare molto scalpore, a causa delle sue scene violente e toccanti.

E devo dire che anche a distanza di quasi 30 anni, il film è estremamente attuale e mi ha fatto riflettere parecchio.
La storia è ormai nota. Un professore della Columbia University parte per la foresta Amazzonica al fine di recuperare il video girato da quattro suoi studenti avventurieri e matti come cavalli. Il professore viene a contatto con popolazioni cannibali, e riesce nell'intento di ottenere dai selvaggi il prezioso nastro. Tornato in patria, guarderà il filmato, e rimarrà a bocca aperta.
Non si tratta di un horror, no. Si tratta di una palese critica alla società, mascherata (piuttosto malamente, visto che le intenzioni sono chiarissime) da film finto-snuff, con uccisioni in diretta di animali veri (un topazzo, una grossa tartaruga, un maialino e scimmie prese a colpi secchi di macete in testa), e scene di cannibalismo e torture dal gusto tipicamente deodatiano. Secondo Deodato, e anche secondo me, siamo noi alla fine i veri cannibali, siamo noi quelli che chiediamo i soldi indietro a Gardaland se un'attrazione è chiusa a causa di un incidente mortale. Siamo noi quelli che fanno di tutto per i soldi e il successo, calpestando tutti coloro che ci stanno attorno, e mettendo da parte ogni parvenza di umanità.
Ottime le musiche di Riz Ortolani, che al solito è riuscito a creare una bella colonna sonora per un film che difficilmente si scorda.
Una nota particolare va rivolta a Luca Barbareschi che, non ancora militante di AN, e non avendo condotto ancora quel quiz bastardo di nome Greed, si esibisce nella parte di un giovane cameramen avvezzo a uccidere a colpi di ascia o di fucile una piccola serie di animali indifesi. E' proprio il caso di dirlo: come squarta la tartaruga Barbareschi, non la squarta nessuno!

giovedì 17 luglio 2008

Recensione: Tropa de Elite (2007)

Ebbene sì, ancora una volta sono costretto ad andare controcorrente. In tanti, forse in troppi mi avevano parlato bene di Tropa de Elite, film che è uscito il mese scorso al cinema, dello stesso autore di City of God,.
Tutti coloro a cui è piaciuto non hanno però visto City of God, che è un film di tutt'altra pasta. Tropa de Elite è un film ugualmente violento, girato nello stesso stile del precedente, con una fotografia che sovrassatura i colori e una telecamera al centro dell'azione.
Il protagonista è il sosia brasiliano di Nacho Vidal: un fascista psicopatico impasticcato e pluristressato che deve trovare un sostituto alla sua squadra d'eccellenza di poliziottoni duri e puri. E al solito, con lui s'intreccerà tutta una vicenda di sangue, morte, e violenza gratuita, che piacerà molto ai tarantiniani.

Citta di Dio era un film poetico, che si costruiva minuto dopo minuto, narrato bene e con una violenza pienamente funzionale alla scena. Questo sembra una brutta copia vista con gli occhi di Nacho Vidal in veste da poliziotto. Mancava solo Siffredi, e forse veniva fuori qualcosa di meglio. Tanti, troppi i tratti comuni: il narratore fuori scena che è protagonista sulla scena, lo stile del regista (scopiazzato, visto che il director è diverso), le battute. Hanno copiato tutto dalla A alla Z. Anche la figura di Zepequeno.


E' un film già visto, scopiazzato qua e là da S.W.A.T, e che non ha niente a che spartire con City of God, perla di originalità e freschezza che ha risollevato il cinema sudamericano.
Questo film non ha storia, non dice niente, finisce alla carlona. E nei titoli di coda musica allegra e fuori luogo, cosa che come ben sapete detesto.
Non sono molto contento di quanto ho visto, soprattutto per come è stato gestito il lancio del film. Piacerà agli amanti dei blockbuster che non hanno visto il film paragonato a questo (che non cito per rispetto), e a tutti coloro senza memoria, che vedono un film e il giorno dopo non si ricordano più nulla di esso, e pensano che questa sia roba originale.
Non essendoci la produzione di Arnon Milchan, si becca 5 1/2. E ringrazi ;-).

domenica 6 luglio 2008

Recensione: La notte non aspetta (Street Kings, 2008)

Ieri sera sono tornato dopo un mesetto al cinema. E sono andato a colpo sicuro puntando sul nuovo blockbuster della Fox che vede protagonisti il grande Keanu, ancora reduce da Matrix, e Forest Whitaker, che pur ricoprendo un ruolo serio riesce sempre a sparare per contratto le sue solite battutacce a sfondo razzista. Street Kings, alias La notte non aspetta è un film che abbiamo tutti già visto e rivisto in passato. Si chiamava Copland, poi si è chiamato Training Day, poi si è chiamato The Departed. E in mezzo potete metterci buona parte della filmografia di Steven Seagal.

La storia riguarda poliziotti corrotti tra cui svetta Keanu, perennemente alcolizzato di wodka, e malgrado ciò perfetto cecchino in ogni occasione. Sono 10 anni che ha girato Matrix, e ancora ha la stessa faccia da ebete di Neo, parla di mondo reale, e ha sempre bisogno di aprire gli occhi. Questa volta però ad aiutarlo non ci sarà Morpheus, ma Doctor House in persona. Memorabili le frasi con cui Keanu si presenta al grande pubblico. Parlando con un coreano, e scambiandolo per sbaglio per un giapponese, per scusarsi gli dice "hai gli occhi come 2 apostrofi, vesti come un bianco, parli come un nero, e guidi come un ebreo!". Già da qui capiamo chi vota.
Il linguaggio cresce sempre di più per raffinatezza e splendore, spaziando dalle battute su chi muore seduto sul cesso fino all'oramai celebre paragone tra gli sbirri e le erbacce.
Condito dall'umorismo di Whitaker, che sguazza a suo agio nel suo ruolo semiserio di potente, il film riesce a passare abbastanza in fretta, facendo divertire la sala non tanto per i temi trattati, ma per lo sfottò generale che si è venuto a creare tra i tanti appassionati di film d'azione schierati in prima linea.
Più che un film a tratti sembra un videogioco. Una Los Angeles corrotta su cui la notte cala vuole essere uno sfondo per ambientare una storiaccia, ma in realtà non è così. Il regista si limita solo a inquadrare grattacieli e il cielo al tramonto, ma ciò è troppo poco per dare l'impressione che una storia girata negli studios avvenga in mezzo a L.A. Gli effetti speciali sono stati bene usati per ricreare squartamenti e uccisioni particolarmente violente. Non male la scena in cui Reeves arpiona con un amo la bocca del suo collega, e dopo qualche ora gli pianta un'ascia in testa.
Sul finale, già visto almeno in Miami Vice e in Collateral, entrambi di Michael Mann, pensavo di dover dare un giudizio negativo al film. Invece no.
Nei titoli di coda ho visto difatti scorrere il nome di Arnon Milchan, noto produttore del film Trappola in alto mare, premio Oscar del 1992 per la colonna sonora, con interprete Steven Seagal. E data questa presenza storica, il film si becchi un bel 6. E ringrazi.