martedì 25 dicembre 2007

Recensione: Hostel parte 2 (2007)

Per festeggiare il Natale e scaldare il cuore, ho pensato di guardarmi il sequel di Hostel, denominato Hostel Parte 2. Ero sicuro che la mia sete di scene splatter sarebbe stata saziata, e difatti l'attesa è stata ben ricompensata.
Di certo il turismo in Slovacchia sarà calato vertiginosamente dopo l'uscita del primo Hostel. Ma con questo film è facile considerare il turismo slovacco ufficialmente morto, defunto all'interno della solita fabbrica di Real Fighters, dove un branco di pazzi furiosi si diverte a scannare poveri/e ingenui/e, meglio se americani. Questa volta Eli Roth ha voluto fare continui richiami alla sua passione per il cinema: Ruggero Deodato si mangia la carne di Miroslav, stallone ceco-slovacco. La Fenech imperversa nel ruolo della professoressa di arte. Luc Merenda fa l'investigatore. Mancava solo Alvaro Vitali nella parte del bidello, e sicuramente il film avrebbe incassato molto di più.
Questa volta il film inizia con il nostro vecchio amico maraglio Paxton che, sopravvissuto nel primo Hostel, soccombe entro i primi 4 minuti del film. Memorabile il gatto nero che è appollaiato su quello che resta del suo collo segato.
Di lì in poi, la storia è simile a quella del film precedente, girata in Repubblica Ceca, ma ambientata in Slovacchia. E' evidente però un maggior riferimento a quello che sta dietro l'Elite Hunting. In particolare seguiamo in presa diretta le vicissitudini di Richard Burgi, che avevamo lasciato sul set di Sentinel con superudito e supermuscolo, e suo fratello Roger Bart, psicolabile più di lui, arrivati dall'America con lo scopo di far secche 2 belle figliole.
Scene al limite della legalità, fontane di sangue che sgorga come piscio dall'alto, un'evirazione completa sul finale vista da vicino con il membro che finisce in pasto a un dobermann, più tantissima violenza psicologica rendono questo lungometraggio un capolavoro del genere senza precedenti. Peccato che il tutto sia ampiamente scontato. Peccato. Peccato per gli effetti visivi della pellicola, in stile contemporaneo, che fanno sembrare certe scene più appartenenti a un videogioco che a un film. Nondimeno, ottimi i polacchi che festeggiano l'Italia con la maglia di Totti (e conseguente ringraziamento all' "AC" Roma (Milan!?) nei titoli di coda).
Peccato anche per l'opportunità buttata che questo film poteva dare a Trenitalia, mostrando un presunto treno italiano che in realtà appartiene a Costa Crociere. Svetta lo scompartimento degli italiani, sulla cui parete, grazie forse al prezioso suggerimento di Deodato che ha curato l'ortografia, troneggiano le raffinate scritte: "Vaffanculo", "Viva la figa", "Sei una troia".
Peccato, stavo per essere ingannato. Non fosse stato per gli oblò al posto dei finestrini, avrei pensato che l'avessero girato su un Eurostar.

lunedì 24 dicembre 2007

Recensione: Duro da Uccidere (Hard to kill), 1990


Avvicinandosi il Natale, è giusto fare un regalo a tutti gli estimatori di cinema impegnato, a persone cioè che dedicano la loro vita a guardare film di alto livello, dove i più alti valori umani sono messi in gioco. E uno di questi film è sicuramente Duro da Uccidere, che ha come protagonista Steven Seagal.
Assieme a lui figurano grandissimi attori di fama mondiale: Branscombe Richmond, già visto più volte come pellerossa imbazzato in Renegade, Zachary Rosencrantz, Charles Boswell, Lou Betty Jr., Nick DeMauro, Nick Corello, Justin DeRosa, James DiStefano, Janet Zappala, Al Goto, e per concludere questo cast spettacolare, Dean Norris, che con Chuck non ha niente a che fare.
Seagal interpreta la parte di un poliziotto dai metodi non convenzionali, che pur guadagnando i suoi 1000 $ mensili si veste da Versace. Gilettino a righe, pantalone nero attillato, camicia con bottoni d'oro, e codino leccato. Lo riconosciamo così, sin dalle prime scene. E' proprio lui, ed è in formissima. Una notte commette il brutto errore di filmare un incontro tra un aspirante senatore americano e dei boss mafiosi, filmando il tutto su una pellicola. Scoperto grazie alla sua goffaggine, scappa a tutta velocità, ma nel tragitto per tornare a casa decide di fermarsi in uno store per comprare un pupazzo a suo figlio, e una bottiglia di champagne per sua moglie. Qui non perde l'occasione per spezzare braccia, piedi, rompere ginocchia e spaccare culi a un branco di tossici che non esita ad ammazzare il gestore dello store, un "povero vecchio", come lo definisce lo stesso Seagal. Nel tornare a casa, compie l'ennesima imprudenza, e telefona a un amico riferendo del suo videotape scottante, non sapendo però che il telefono è sotto controllo dagli scagnozzi del senatore, che nella vita svolgono la professione di poliziotti corrotti.
Arrivato a casa, mette a letto il bimbo, regalandogli un peluche che neanche lui ha pagato data l'improvvisa morte del gestore, gli fa dire un paio di preghiere cristiane (ma Seagal non era buddista?), e si concentra su sua moglie, una donna bionda e bellissima.
Solo sul più bello però, il suo fiuto si mette all'opera, e Seagal fa appena in tempo a voltarsi per vedere la porta di camera sua spalancarsi, sfondata da un commando di tirapiedi del senatore, tra cui svettano Richmond e Boswell, che gli sparano subito un colpo di fucile a pallettoni addosso. Seagal però non demorde, poichè è duro da uccidere, si alza, avanza, e riesce a storcere la mano di Richmond prima di beccarsi un secondo colpo di fucile addosso. Malgrado il suo disperato urlo di disperazione, lo sparo dopo è dedicato tutto a sua moglie, che crepa all'istante. E a quel punto, sanguinante, si becca il terzo pallettone al cuore, che lo finisce. Invece no.
Seagal sopravvive, grazie a un coma profondo di 7 anni. Ma al suo risveglio, gli scagnozzi sono pronti a farlo fuori. Aiutato dall'infermiera che per 7 anni lo ha accudito, e che dopo questo film è diventata sua moglie, Seagal dovrà recuperare le forze e la forma fisica persa durante il coma, aiutato dall'agopuntura, dai suoi scritti in cinese, e dalla meditazione, coniugati a un'attività fisica che prevede l'ascesa di una montagna tutti i giorni. Di corsa, naturalmente.
Al termine del suo training incontrerà il suo fido amico O'Malley, che negli anni precedenti ha messo il figlioletto di Seagal sotto copertura, per salvarlo dalla furia omicida del senatore. O'Malley decide di regalare a Seagal una pistola, e il nostro amico col codino risponde con "Grazie, ne avrò bisogno". Da questo momento, la furia di Seagal sarà incontrollabile, e animato dal ricordo di sua moglie, spargerà vendetta contro quanti gli hanno distrutto la sua bella e felice famiglia. Memorabili le scene in cui ammazza Richmond e Boswell, gli scagnozzi più fidi e tenaci del senatore Trent. Il primo, lo strangola, non prima di avergli girato la mano come 7 anni prima, e in un atto di pietà butta sulla faccia del cadavere un mascherone rituale degli Indiani d'America, dato che lo stesso Richmond è un cherokee. Il secondo invece, morirà con una stecca da biliardo infilata nel collo: Seagal commenta il tutto con "Questo è per mia moglie, ed è anche poco!"
E il senatore? Quello subirà la pena peggiore: verrà messo in gattabuia perchè, a detta di Seagal "la morte è una punizione troppo blanda per te. Un distinto signorino come te in uno sporco penitenziario non si salverà il culetto per molto tempo".
Queste dolci parole vengono pronunciate dal nostro eroe dopo avere infilato di prepotenza la canna del fucile nella bocca del politico corrotto, spaccandogli tutti i denti.
Ho ritrovato con piacere il nostro senatore in un film già recensito: Augusto Rusco. Lì il nostro fa la parte del padre padrone della concubina di Rhys Meyers. Da ciò abbiamo capito che William Sadler, l'attore in carne ed ossa, difficilmente si scosta dai ruoli da lercio.
E poi, lieto fine. Ancora una volta Seagal stupisce in uno dei suoi film più belli. Musiche eccezionali, con chitarra elettrica e tastiera elettronica che sottolineano i momenti più alti di tensione, creando un clima di corruzione e morte che raramente si vede in un film. Memorabile anche la figura di O'Malley, bravissimo nel suo ruolo.
Consiglio a tutti questo film imperdibile, sicuro che le aspettative non potranno rimanere deluse in nessun caso.


domenica 23 dicembre 2007

Lettera di Tossani - da "Il Resto del Carlino" del 23/12/2007

Riporto questa lettera che ho appena letto sul giornale di oggi, scritta da un noto infortunista bolognese che non nasconde simpatie per fascismo e nostalgie per la Bologna di un tempo.
Credo che la sua lettera meriti una riflessione davvero da parte di tutti. Sono contento che Tossani o i suoi abbiano una volta tanto riveduto e corretto la lettera, visto che di solito la grammatica lascia un po' a desiderare. Quattro virgole però le ha corrette il sottoscritto.
Eventuali commenti sono sempre ben accetti.
Boz

Questo articolo lo dedico alla mia Bologna. Perchè?
Perchè il Nettuno (che i bolognesi chiamano confidenzialmente Gigante) è stato spettatore della vita di Bologna negli ultimi 5 secoli (o quasi) e quindi conosce la vita della città più di chiunque altro. Con una simile esperienza dovrebbe essere facile per lui prevedere anche il futuro ma sicuramente si rifiuterà di farlo...per non mettersi a piangere.
Bolognesi, ci stanno portando via Bologna! Bolognesi fate qualcosa! Non aspettate che gli eventi vi travolgano e vi cancellino, nel senso che facciano scomparire la tradizione bolognese. No, no, non è una esagerazione: ecco i dati allarmanti.
Oggi pochi parlano e capiscono ancora il bolognese che sta diventando una lingua morta, anzi peggio, "mortammazzata" proprio dai bolognesi superstiti.
Oggi ci sono giovani madri che non vogliono che in famiglia si senta una sola parola bolognese perchè il bambino deve imparare solo l'italiano....poi magari lo mandano a scuola per imparare l'inglese, lingua che sta inquinando la nostra con tutti i neologismi tecnici e comportamentali. In certi ambienti si fanno vanto di chiamare ogni cosa col nome inglese, così il presidente diventa president, un dottore doctor e una ragazza girl....che magari va col boyfriend a fare pett
ing e cosi via fino all'inutile o addirittura al ridicolo.
Bolognesi, voi dovete andèr con l'ambrausa a fèr l'amàur e brisa con la girl a fare petting.
Questo non è un consiglio razzista, perchè essere bolognesi significa amare Bologna, sentire un'emozione quando si attraversa la piazza, sentire l'orgoglio di avere in città uno degli edifici medievali più alti del mondo, stupefacente opera di ingegneria antica che a molti non dice niente...o peggio dice che è la cosa più brutta mai vista come ebbe a dire Goethe di passaggio a Bologna guardando la torre Asinelli...per forza, lui era crucco e non bolognese.
Aneddoto trasversale. Un giorno entrò in un bar un extracomunitario che cominciò a litigare col barista per una stupida contrarietà. Ebbene, uno dei presenti, che era di pelle nera come il nuovo venuto disse in perfetto bolognese "c'sa vòl cal nàigher".
Grazie, simpatico amico dalla pelle scura. Tu sì che sei bolognese davvero.


Michele Tossani

venerdì 21 dicembre 2007

Coefficente di libertà, fine del mondo, e altre storie.

Questa notte ho avuto un sonno piuttosto agitato. Non so se sia stata colpa di Saccà, o dell'ottima coppa di testa che ho mangiato alle 23, prima di dormire. Fatto sta che ho iniziato una serie di sogni molto inquietanti ed estremamente realistici.
Il primo riguardava la fine del mondo. Già. Eravamo nel 2012, in casa, e assistevamo a una notte la cui luminosità era a dir poco singolare. Ovviamente la causa di ciò era l'esplosione del sole. Già molti si sono cimentati su una fine dell'era umana dovuta allo scoppio della nostra stella più vicina.
Uno dei primi che se ne era occupato era un programma di una decina di anni fa che andava in onda su TMC2, ora diventata Mtv, che si chiamava Poltergeist. Qualche anno dopo lessi su un quotidiano una storia presunta di Carlo Lucarelli che era identica a quanto avevo visto anni prima. Ma si sa, TMC2 è una rete sfigata, e figuriamoci se qualcuno se ne ricorda.
Tornando al mio sogno, ben presto la notte si era trasformata in giorno, e dal cielo proveniva un enorme fascio di luce bianca. A causa degli immensi campi elettromagnetici, televisione, radio, e tutte le mie diavolerie erano fuori uso. Mia madre stirava per l'ultima volta le camicie di mio padre, e il ferro da stiro prendeva fuoco. Tutto cominciava ad incendiarsi, sempre più velocemente, e questi raggi di luce bianca illuminavano la casa in una maniera mai vista.
A quel punto, ho detto le mie ultime preghiere, e mi sono svegliato, piuttosto agitato.
Non è passato molto tempo, e mi sono riaddormentato, questa volta però in un mondo sadico e totalitario, dove un gioco spietato mi vedeva coinvolto in prima persona.
Io e un gruppo di personaggi non ben identificati correvamo in una sorta di stadio, per allenarci. A metà del campo, c'era un'uscita che dava su un'altra arena dove avveniva il gioco simpaticissimo per il quale stavamo correndo come trottole.
Un grandissimo, munito di ak-47, si divertiva, allo scadere del tempo a sparare su una delle 200 persone che correva nel campo, fino a finirla.
Inutile dire che sono stato ammazzato quella decina di volte, trovandomi per sfiga a un metro da lui, e come in un videogioco, recuperavo costantemente la mia vita, e una volta raggiunto lo 0%, tornavo in fretta al 100 %. In tutto questo, un tale, esponente politico di questa strana era mi ha fermato e mi ha detto: "Se vuoi sapere quanto vale una persona, è molto semplice. Basta che moltiplichi il suo coefficiente di libertà per il quoziente intellettivo". Detto, fatto.
E adesso, basta sognare.

lunedì 17 dicembre 2007

Recensione: La musica nel cuore - August Rush (2007)


Questa volta purtroppo mi tocca recensire un film pessimo, un obbrobrio che per fortuna ho visto senza spendere una lira: August Rush, che nella versione italiana è stato intitolato primariamente La musica nel cuore. A mio avviso sarebbe stato meglio intitolarlo Augusto Rusco, un titolo sicuramente più esemplificativo.
Ci troviamo sempre nella oramai strainflazionata New York, dove un musicista scapestrato e alcolizzato incontra dopo un concerto una violoncellista di nobile lignaggio, viziata e piena di soldi.
Tempo 120 secondi e i due si stanno già sbaciucchiando, sfoggiando dialoghi stereotipati in una recitazione maldestra e infima. Per pena di recitazione svetta Rhys Meyers, che sembra perennemente ubriaco, e probabilmente lo è, visto che per fare la parte dello sbandato non ha bisogno di recitare.
In un susseguirsi di dialoghi tristemente unti, i due amoreggiano su Washington Square, e ivi si addormentano. Si sveglieranno il mattino dopo con una secchiata d'acqua e piscio, scherzosamente tirata del fratello di Meyers, che tutti hanno già identificato come Gran Burlone.
I due si separano inspiegabilmente il mattino dopo, e hanno entrambi pesanti ricadute nella loro carriera professionale: evidentemente dormire all'aperto non fa bene, ma per loro la cosa si protrarrà per una decina d'anni.
Dalla loro folle notte d'amore nascerà un bambino, tale Augusto Rusco, che crescerà pensando di essere orfano: difatti, il padre della violoncellista, borghese da 3 lire, devolverà il bimbo appena nato in beneficenza a un orfanotrofio, dato che la madre, al momento incinta e pure in coma, si avvale momentaneamente della facoltà di non poter rispondere.
Credendo suo figlio morto, come suo padre bastardo le ha riferito, la madre passerà anni di depressione acuta. Il padre, invece, diventa un uomo d'affari con tanto d'autista al seguito.
Il nesso tra i 2 stati di vita di questo uomo tutto d'un pezzo ci sono tuttavia nascosti dalla regista, e noi possiamo solo ipotizzare che probabilmente Meyers era in una pausa di Match Point quando hanno girato la scena in cui lui, da pezzente scapestrato che era, girà in Mercedes parlando di percentuali in giacca e cravatta.
E il bambino? Il cinnazzo cresce allo stato brado, con il senso della musica ampiamente sviluppato. Lo troviamo fin da subito a dirigere campi di grano, nuvole e fuochi in un concerto di cui solo lui sa intuire la melodia, invisibile per i più.
Deciso a scappare e cambiare vita, il piccolo portento giungerà in un grottesco teatro di New York dove Robin WIlliams, musicista fallito, alleva piccoli mocciosi randagi al fine da farli mendicare negli angoli più frequentati di Central Park ed estorcere loro il 100% degli incassi.
Augusto è un vero fenomeno: gli basta vedere una chitarra e strimpellare per fare uscire dallo strumento note sensate. Non conosce le note, ma impara subito a comporre la sua rapsodia, suonata con gran finale al Central Park.
Inutile dire che i genitori si riuniranno ascoltando la musica del figlio, e senza test del dna alla mano, pur non avendolo mai visto, lo riconosceranno con una certezza disarmante, semplicemente ascoltando la sua musica.
Dialoghi beceri, scene girate da operatori ubriachi, stereotipi, musica medio-bassa, branchi di esaltati e storia asssurda, con tanto di persone fuori luogo, che appaiono in posti dove non dovrebbero essere. Voto? Mezza stella.

Recensione: Come d'incanto - Enchanted (2007)

Quest'anno la Disney ha deciso di portare un'innovazione nel cartone di Natale. Con l'addio al Re Leone, a Nemo, e al Gobbo di Notre-Dame, di cui nessuno sente la mancanza, ecco un genere già visto ma sempre d'effetto: il cinecartone.
Giselle, una principessa cartonata e asessuata incontra una strega poco prima delle nozze con il suo principe. Questa, madre dello stesso principe, con l'inganno la butta in una fontana che conduce dritto nel mondo reale, e la nostra principessa si ritrova quindi in carne ed ossa a New York.
Aiutata dai suoi amici fiabeschi giunti anch'essi nella Grande Mela, la principessa dovrà fare di tutto per ritrovare il suo principe, sotto la supervisione del simpaticissimo e intelligente scoiattolo Pip, grande portento digitale. Il tutto in un clima da The sound of music, dove la risata fa presto ad uscire, aiutata da gag forse più pensate per gli adulti, che non per i bambini, i quali comunque apprezzeranno il capolavoro di effetti speciali e di dialoghi, scopiazzati qua e là dalla concorrenza Dreamworks.
La principessa Giselle dimostra in ogni occasione di sapersi destreggiare tra piattole, piccioni, e topazzi di fogna chiamati appositamente per pulire la casa. Scena da Premio Nobel, a mio avviso, dove tra gente schifata ero l'unico che rideva a squarciagola per il cinema semideserto.
Finale in parte scontato, ma non banale, e buone musiche. In conclusione, un film di target poppante, ma che farà sorridere e divertire tutti. Ottimo lavoro.

giovedì 13 dicembre 2007

Recensione: Cocaina (2007)


L'altra sera finalmente valeva la pena di riaccendere la televisione. Sullo schermo quello che tutti sanno, di cui tutti parlano, presentato in modo intelligente. Cocaina.
Un gruppo di poliziotti sbregaz e una squadra di tossici vengono seguiti dalle invadenti telecamere dei registi del documentario. Ne esce un quadro allarmante di come il problema coca sia diventato di enorme portata, e non sia più un fenomeno da considerarsi trascurabile.
La Polizia in questo caso ne esce benissimo: look da tossici, zazzera e capello lungo, pantalone multitasca e facce cattive. E grande umanità e serietà durante gli arresti. Questo basta e avanza per mimetizzarsi in una Milano che se ne frega di tutto, che non si accorge di niente, e continua nella sua porca vita (tanto per non citare Jack Nicholson) come se nulla fosse.
Ottima anche l'ipocrisia dei miei coetanei, mostrata giustamente con poche (presumibili) censure, che giustificano il tutto dall'alto con un "Siamo ragazzi, facciamo i nostri errori". E in realtà non sono altro che un miserabile branco di tossici, destinati a essere sfigati tutta la vita e a pagare il chirurgo plastico per rifarsi il naso tra pochi anni.
Chi lo ha definito docu-film, a mio avviso ha sbagliato. E' un documentario nudo e crudo, che di film ha una cosa sola. La colonna sonora di Miami Vice.

mercoledì 12 dicembre 2007

Recensione: Hostel (2005)


Questa sera, per rilassarmi in vista dell'esame di Disegno Tecnico Industriale, ho deciso di guardarmi un film divertente, una commedia, qualcosa con cui svagarmi e rilassarmi. E ho scelto Hostel.
L'inizo del film sembra proprio quello di una barzelletta: due americani e un islandese piuttosto sfigati e dotati di marsupio, dopo aver visto Eurotrip vagano per l'Europa a caccia di droghe sintetiche e ragazze facili.
Ritrovatisi ad Amsterdam e strafatti di crack, conoscono un tipo strano che narra loro del paese dei balocchi, Bratislava, dove tutto è possibile. Avendo una cultura infima, i 3 zebedei decidono, ahimè, di partire per la Slovacchia, non prima di avere visto presunte foto porno fatte dal tipo strano in compagnia di stragnocche (presunte) slovacche.
Arrivati all'ostello di Bratislava, che in realtà è la reggia di Versailles (che si trova in Repubblica Ceca, ovviamente), conoscono subito 2 gagliarde che gli si presentano subito innanzi.
Dopo sesso sfrenato e divertimento di bassa lega, dopo poche ore i due americani si accorgono che, ahimè, manca già l'islandese all'appello.
Decisi a continuare a divertirsi con le strabelle di turno, dopo un'iniziale preoccupazione decidono di fregarsene del nordico, e s'imbrescano in una squallida discoteca con musica technocomunista. Uno di loro, il più sfigato, ovviamente, si risveglierà chiuso dentro una macelleria, legato a una sedia, sotto le amorevoli cure di un cinquantenne pazzo furioso, frustrato, e pronto a tutto per fargli vedere quanto è bravo ad usare il bisturi. Dopo uno squallido gioco a cui il sfighè abbocca subito, il pazzo furioso decide di far smettere di soffrire il ragazzetto, già dolorante per le spalle trapanate e le caviglie segate. E questo è solo l'inizio.
L'americano rimasto, il più fico e intelligente di tutti (il suo nome maraglio, Paxton, è tutto un programma) si mette alla ricerca dell'amico, non sapendo che ha già tirato le cuoia ed è pronto per essere macellato e gettato in un crematorio.
Salvatosi perchè rimasto chiuso fuori da un cesso, è deciso a far luce sulla vicenda, e nasando che qualcosa non torna, anzichè darsela a gambe, cerca le due vaiasse slovacche, per farsi portare nel luogo in cui stanno i suoi compagni di brigata.
Visto che insiste, una delle due lo porta in una fabbrica abbandonata, la stessa in cui Ascanio ha girato Real Fighters. Di lì, dopo un non ben precisato scambio di ruoli raffinato ("Puttana, troia!" - "No, la puttana sei tu, visto quanto sono stata pagata per te") viene rinchiuso in una sala operatoria da terzo mondo, e affidato alle amorevoli cure di un altro balordo, che si preoccupa da subito della nazionalità americana dell'amico.
Si scopre che il dottore parla tedesco, ma anche l'americano lo mastica, e per questo gli viene tappata la bocca con un arnese degno di Hannibal. Der Arzt, così lo chiameremo, è però un maestro di paura psicologica, e il nostro eroe statunitense comincia a spruzzare vomito da tutte le parti, rischiando di soffocare, cosa che der Arzt proprio non desidera.
A questo punto toglie la palla di ferro dalla bocca dell'american boy, in modo che possa stracciare più agevolmente. Quindi, prende una motosega, e gli mozza 2 dita. Ma per prendere la rincorsa e farlo secco definitivamente, scivola sulle misere dita americane rimaste per terra, la motosega gli cade addosso, e in un lago di sangue si becca una pallottola in fronte da parte dell'americano che, sanguinante, ha già dimostrato di essere il predestinato a salvarsi il culo.
Ma non è finita qui: il nostro eroe dovrà dare il tutto e per tutto per uscire dalla fortezza in cui è rinchiuso, non prima di avere salvato una japana dal suo aguzzino, e di averle tagliato un occhio, provocando una fuoriscita di liquido giallo dal nervo e liquidando la cosa con un "Cazzo, mi dispiace".
Per ricambiare il favore, dopo una rocambolesca fuga l'asiatica guercia decide di buttarsi sotto un treno, distogliendo l'attenzione degli scagnozzi pelati di turno, che già erano sulle tracce dei fuggiaschi. Il nostro Paxton, per il quale tutti abbiamo fin da subito parteggiato, riesce quindi a salire su un treno diretto in Germania, guarda caso, dove per caso si trova anche il pazzoide che ha trucidato il suo amico sfighè.
Deciso a farsi giustizia, scende con il tedesco in una stazione teutonica in cui ci sono scritte in tedesco con errori grammaticali, e la pubblicità della Coca Cola è in slovacco ( e questo il regista me lo deve spiegare), e lo fredda nel cesso della stazione, non prima di avergli tagliato le dita con un bisturi (ci vuole una bella voglia) e avergli infilato la testa nel cesso, scena di siffrediana memoria.
In conclusione, consiglio questo film a quanti vogliono rilassarsi in vista di un esame, e vogliono divertirsi a spese di Paxton, Josh, e Oli, 3 turisti presi da una barzelletta russa. Ma polacca.

sabato 8 dicembre 2007

Decameron - Daniele Luttazzi - Intervista (Ferrara?)

Oggi Daniele Luttazzi è stato nuovamente censurato per avere "offeso" Giuliano Ferrara nella sua trasmissione. Da ex teatrante, non posso che essere solidale con Luttazzi, la cui irriverenza intellettuale viene spesso confusa da poveri analfabeti (più in alto di lui) come offesa. Ecco una sua discolpa.

martedì 4 dicembre 2007

Addio S, (2)

Io - Mi sento un po' come per Sylvester, quando manca poco alla mezzanotte del 1 gennaio.
Francesco - rotfl
Io - Tu che faresti?
Francesco - Penserei all'imperativo categorico di Kant
Io - Sai, sento come un vuoto
Francesco - Anche io... Soprattutto sul conto in banca

Addio, S.

Come molti ben sanno, fino ad oggi lavoravo per un social network. Avevo iniziato nell'agosto 2006 per caso, e poi ero stato assunto a tempo indeterminato da un'azienda di Colonia.
Come pochi sanno, la settimana scorsa sono stato licenziato per mancanza di nuovi finanziamenti di alcuni "Investoren" teutonici che hanno chiuso i rubinetti che mi hanno consentito di togliermi qualche sfizio in questi mesi.
Non è semplice accettare di non avere più mensilmente un lauto mucchietto di euro da poter spendere e spandere come si vuole. Ma è altrettanto vero che forse avrò più tempo per me, per studiare, e per coltivare alcune passioni che per mancanza di tempo avevo messo da parte.
I miei genitori dicono che sia meglio così. In fondo ne sono convinto anche io, perchè sono sempre fiducioso nei cambiamenti.
Ma la delusione di vedere 15 mesi di lavoro buttati nel cesso è enorme.
Ringrazio in particolare il mio amico e collega Francesco Kirchhoff (www.prattein.eu) per i bei momenti passati insieme, così come la cara amica e collega tedesca Lara Sabel, per avermi sopportato soprattutto in fase di sviluppo e per la Zusammenarbeit sempre piacevole. Nonostante ci siamo visti solo una manciata di volte, ci conosciamo meglio di quanto non sappiano su di noi molti nostri amici intimi. I momenti che abbiamo condiviso li ricorderemo tutti con entusiasmo, lo stesso entusiasmo che ci ha fatto partecipi di una grande avventura 2.0. E adesso, senza più lavoro, aspetto fiducioso il web 3.0. Tempo di laurearmi, e tornerò in gran forma a fare parte di qualche arrischiata impresa-soldo-facile sul web. Promesso.
E adesso, ricordando le parole del mio capo, bisogna fare solo una cosa: "Gas geben".

Un saluto a tutti

Eccomi di nuovo online, dopo tanto tempo di assenteismo.
Non sapevo se era il caso di creare un proprio sito personale come si faceva negli anni '90 o provare a essere al passo coi tempi e fare un diario.
Anche se rimango scettico, ho optato per quest'ultima soluzione.