sabato 7 novembre 2009

Recensione film: La Banda Baader-Meinhof (2008)

Non so con quale coraggio la Germania abbia potuto candidare al premio Oscar un film palloso come Der Baader-Meinhof Komplex. Questa sera ho passato 2 ore e 20 minuti aspettando che succedesse qualcosa di nuovo, di mai visto, di originale.
Invece mi sono trovato davanti una Martina Gedeck monoespressione come al solito e parrucca-munita, un paio di corpi nudi qua e là, una recitazione a dir poco penosa, come di peggio non poteva saltare fuori, e per pepare il tutto una serie di effettacci speciali a fare sfondo a scene nonsense. 150 minuti sono bastati per farmi imbestialire e bollare il tempo passato davanti allo schermo come buttato.
La storia la conosciamo tutti. Peccato che quella raccontata nel film avesse pretese di intreccio, che è stato realizzato in modo maldestro, facendo apparire e scomparire personaggi dal niente, senza un perché. Legami non spiegati e non sviluppati. tagli di sceneggiatura qua e là, e deprimenti scene patetiche fanno di questo film qualcosa di veramente intollerabile e indigeribile. Corro a farmi una tisana. Sbloarp.

domenica 28 giugno 2009

Recensione Ristorante: Nuova Osteria del Pilastrino (Pilastrino - Monte San Pietro (Bo))

L'altra sera io e i miei scagnozzi ci siamo recati in questa osteria,al fine di passare una serata tranquilla e di testare la cucina, di cui tanti hanno parlato bene. E non siamo rimasti certo delusi.
Il locale è abbastanza spazioso, con un soffitto con piccole travi a vista in legno. Subito il propietario, peraltro simpatico, ci ha accolti illustrandoci le proposte della serata. Il menu si basa su grandi classici della cucina bolognese con qualche leggera variazione sul tema di tanto in tanto. Personalmente ho optato per delle strette con pancetta e rosmarino (e uno sfondo di cipolla) come primo, e a seguire crescentine e tigelle con affettati.
Le strette, sorta di tagliatelle sottili, erano valide, anche se non mi hanno detto più di tanto come gusto. Il sapore al palato era piuttosto piatto, mancava qualcosa che facesse risaltare la pancetta, coperta dal rosmarino eccessivamente. In ogni caso, un 12,5/20 se lo prendono tranquillamente, ma si poteva fare di più.
Sulle crescentine (17/20) assolutamente nulla da ridire: poco unte, morbide, non si sbriciolavano, davvero eseguite alla perfezione, ricordavano il Morara di qualche anno fa Molto buono anche il prosciutto (15/20), un po' peggio il salame (13/20); lo squacquerone notevole (16/20) e in quantità abbondante. Buone anche le tigelle (13,5/20), con un pesto molto valido, che però viene proposto in forma light (poco lardo, prevalenza di pasta di salsiccia (13,5/20)). Buoni anche i sottaceti, purtroppo solo di 2 tipi: cipolle e carciofini. Sulle cipolle resta imbattibile sempre l'ex Morara, ma anche queste non erano affatto male e si piazzano nella mia personale top 5. I carciofini (13/20) erano poco pepati per i miei gusti, e risultavano leggermente insipidi, ma qui la "colpa" se vogliamo è della ricetta a cui sono abituato quotidianamente.
Come dessert ho optato per una crostata di albicocche fresche (14/20), morbidissima e gustosa, che però è stata portata in quantità, per il mio metro, appena suffiiciente.
PREZZI: I primi variano dai 7 ai 9 Euro, le crescentine con affettati si trovano a 12 Euro, alle carni purtroppo non ho guardato.
NOTE NEGATIVE: Il coperto a 3 Euro, comprensivo di servizio, è risultato a mio avviso eccessivo per un posto in cui la mise en place è scarsina: la tovaglia è inesistente (è fatta a croce, e copre solo l'area del piatto), mentre le mani si trovano a poggiare sul legno del tavolo. Considerando che serve in tavola direttamente il patron e non un cameriere professionista, questo è il caso in cui il coperto ha tutta l'aria di un'odiosa tassa da pagare per arrotondare ulteriormente il conto. Un po' lenta è stata la consegna di un primo all'ultimo dei miei commensali. Si può fare ancora di meglio, per giustificare quel "servizio" in tavola che non mi ha convinto più di tanto.
CONCLUSIONI: Buon locale, situato nel verde, non difficile da raggiungere per chi viene da Bologna, che presenta delle buone potenzialità per diventare un punto di riferimento sul territorio. Alcune cose si possono (e a mio avviso si devono) migliorare, mentre altre raggiungono già livelli piuttosto alti, che sono espressione di una cucina tradizionale e di qualità.
Farò un'altra visita appena capito in zona per testare altre parti del menu. Voi nel frattempo, potete provarlo tranquillamente.

giovedì 11 giugno 2009

Recensione film: Una notte da leoni (The Hangover, 2009)

Ho avuto modo di vedere questa penosa pellicola stasera in anteprima. Già sapevo cosa avrei avuto davanti, ma su due fronti ero piuttosto dubbioso: il primo era la reazione del pubblico; il secondo era il voto degli utenti di IMDB.com (8,5 come voto, posizione 126 tra i migliori 250 film di sempre, davanti cioè a capolavori come Il Petroliere, Ben Hur, e Il cacciatore).
Purtroppo sono rimasto stupito su ogni fronte. La storia è già vista e rivista: un gruppetto di amici si reca a Las Vegas per festeggiare l'addio al celibato di uno di loro, ma durante la notte di follia succedono cose impreviste. Il giorno dopo, al risveglio, il futuro sposo manca all'appello e i tre "amici miei" dovranno ritrovarlo per portarlo in tempo alle nozze. Il tutto ovviamente, condito di gag e situazioni che per gli sceneggiatori dovrebbero essere nuove ed esilaranti.
Invece purtroppo è tutto già visto, a cominciare dal famoso scherzo della tigre a Leo Gullotta, per poi recarsi ai famosi cinepattoni che racchiudono un mix di pecoreccio e stupidità, fino a toccare anche Tutti pazzi per Mary. Un personaggio coprotagonista strappato a Il grande Lebowski conclude lo scopiazzamento generale, con battute vecchie e scene prevedibili. E invece... invece il pubblico bue comincia a ridere fin dai primi secondi, fin dal momento in cui compare il logo Warner Bros. L'ilarità cresce ad ogni battuta stupida, tant'è che comincio a sospettare che vi siano risate registrate in sala, come succede per Striscia la Notizia. Ma forse no. Il film va avanti e le idiozie aumentano, e la gente ride. E io serissimo. Ho contato solo un paio di battute divertenti (2 di numero) in tutto il film, ma il resto non dovrebbe fare ridere, al massimo fare piangere. C'è inoltre qualche scena violenta che è costata al film una R negli Stati Uniti. Di film di azione od horror ne ho visti e apprezzati tanti, ma questo nella scena delll'incisivo mancato o in quella della pistola elettrica è ai livelli di Hostel come impatto visivo. Fa schifo, fa vomitare. Ma il pubblico ride.
Sul finale, i borazzi presenti in sala hanno pure fatto un accenno di applauso.
Schifato, me ne sono uscito silenzioso, sentendo i commenti "bellissimo", "divertente", "un po' troppo lungo". A me, più che Una notte da leoni, è sembrato Una cagata da elefanti.

venerdì 29 maggio 2009

Recensione Ristorante: Morara - Antichi Sapori (S. Lazzaro di Savena (Bologna) )

5 anni fa scelsi di fare qui il pranzo per festeggiare il mio compleanno. Il locale era spesso affollato, famoso per le buone crescentine con un altrettanto ottimo affettato. Il prosciutto, in particolare, era favoloso. Magro, morbido, non troppo stagionato, era perfetto da sposare con un buon formaggio squacquerone della giusta consistenza. Le crescentine erano morbidissime, a triplo o quadruplo strato. Non facevano briciole, non erano unte. Erano semplicemente il top che si potesse (a mio avviso) degustare nell'hinterland bolognese senza spingersi troppo verso la montagna. Morara era il classico ristorante da una trentina di coperti che dista una quindicina di minuti da casa e consente di degustare i migliori prodotti del territorio. Con il tempo questa sua fama si è, ahimè, ridotta sempre di più, in concomitanza con un sempre maggiore aumento delle pagine del menu, per soddisfare a detta del titolare più palati possibili, ma che di fatto hanno fatto crollare la qualità del cibo da livelli di assoluta eccellenza a quelli del posto medio-basso, e ladro per giunta.
Questa sera, purtroppo, ho dato l'ultimo saluto al ristorante. Arriviamo in due alle 20 20 di venerdì sera. Solo un tavolo da 2 persone occupato, segno evidente della crisi che colpisce quei ristoranti che, a mio avviso, si comportano male nei confronti dei clienti. Scambiamo quattro chiacchiere con il titolare che ci conosce da anni (dal 2004 per l'esattezza). Guardiamo il menu alla ricerca del piatto forte, le cosiddette "Crescentine complete", portate assieme a salumi, formaggio, sottaceti e Nutella. Casualmente non le troviamo, se non come antipasto a € 5 Leggiamo più volte il menu in cerca del piatto a noi caro, ma non c'è. Pazienza, lo ordiniamo lo stesso con una variante: crescentine per 2, con affettati e squacquerone, e una bottiglia di minerale. Non chiediamo i sottaceti e la Nutella. Chiediamo anche mezzo litro di vino: ci viene detto che la spinatrice si è rotta, e che può darci solo la bottiglia. Acconsentiamo, storcendo un po' il naso. Ci viene portato il piatto di affettati. Un salame tagliato così sottile che sembra trasparente, dal colore non troppo invitante. Le fette di prosciutto sono irregolari, alcune presentano uno strato di grasso alto almeno 4 cm e di neanche 1 cm di prosciutto "vero". Addirittura, nel piatto vi sono strisce lunghe di grasso senza il relativo prosciutto. Non c'è pancetta, come invece avrei desiderato. Le fette sono disposte un po' alla rinfusa, con spazio tra una e l'altra, senza quell'ordine che contrastingueva il piatto di salumi tipico della nostra regione. E sul momento, non ci faccio neanche caso.
Arrivano le crescentine, in quantità industriale. Ma, ahimè. sono notevolmente peggiorate. Sono diventate insipide, fanno le briciole, e sono molto più unte del solito. Al solito, non mi scoraggio, e mangio. Il vino è discreto, l'acqua è da 0,75 (indice che per me rispecchia la serietà bassa di un locale), e stiamo mangiando un piatto che pare storpiato, dato che molte crescentine dentro hanno sì il multistrato di un tempo, ma fuori si sbriciolano rivelando una crosta unta sinonimo di un'esecuzione grossolana da bettola di ultimo livello.
Basti dire che dopo 5 o 6 che ne mangio non ne posso già più dalla pesantezza di stomaco che mi provocano. Lascio finire al mio amico, e andiamo alla cassa. F., il titolare, armeggia al display touchscreen e ci sforna il prezzo: "Sempre lo stesso, sono 20 Euro a testa". Già, caro F., è vero. Da te spendiamo sempre almeno 20 Euro a testa. Peccato che le volte scorse prendevamo crescentine complete di ogni bendidio, con sottaceti ottimi e nutella, senza limitarci a salumi e formaggio; prendevamo almeno un altro litro di minerale, e liquore per finire il pasto. Il piatto di salumi era inoltre più pieno, e di qualità notevolmente superiore a quello che ci hai propinato. A conti fatti, sono circa 5-6 ero in più a testa rispetto al solito che stasera hai estorto nel peggiore dei modi.
Peccato, caro F., che un tempo ci facevi la ricevuta fiscale, e adesso ti sei preso i soldi in nero senza neanche farci vedere il dettaglio di quanto abbiamo speso! Questo equivale per me alla peggiore fregatura possibile. Peccato che il tuo locale adesso è deserto, perchè forse non siamo gli unici ad esserci accorti del clamoroso calo di qualità del tuo cibo, che stasera ha bellamente toccato il fondo del barile.
Tu stesso ci hai detto che detesti il sushi perchè non puoi vedere come lavorano i cuochi mentre lo preparano: peccato che il tuo comportamento e la cena di stasera avessero tutte le caratteristiche della oramai tristemente nota cena da Asahi che ho recensito su queste pagine.
Caro F., tutti i clienti, non solo quelli fidati che conosci da anni, vanno sempre trattati con rispetto e non si prendono in giro. Mi sono sentito offeso per il tuo atteggiamento da titolare disonesto nei confronti nostri e di quelli dello Stato. Puoi starne certo: sul tuo locale ci ho messo proprio una croce sopra.

sabato 16 maggio 2009

Recensione Serie TV: Prison Break (2005 - 2009)

Ho appena finito di guardare le ultime 2 puntate di Prison Break, giunto ieri, 15 maggio 2009, alla sua conclusione, dopo 4 stagioni intense ed estremamente interessanti.
Il telefilm parla delle vicissitudini di Michael Scofield (Wentworth Miller), un ingegnere edile, e di suo fratello Lincoln Burrows (Dominic Purcell), chiuso ingiustamente in una prigione di massima sicurezza. Dietro all'incarcerazione di Lincoln, infatti, si stendono giochi di altissimo potere che porteranno i due fratelli (e quanti incontreranno nel loro percorso) a una lunga ed estenuante fuga.
Il punto di forza della serie, almeno all'inizio, erano gli stratagemmi che Scofield si inventava per cavarsela in ogni situazione. Allo stesso modo di McGyver, Scofield riesce a usare il proprio ingegno per escogitare le cose più impensabili. Purtroppo, però, col passare del tempo sono mancate all'appello reali novità, anche perchè le bombe costruite alla stregua di Monkey Island non potevano essere per loro natura infinite. La serie ha quindi preso una piega diversa, stagnando, soprattutto nella quarta stagione, in una sorta di limbo che non le si addiceva più, ma che poteva essere perfetto per un prodotto di fascia media.
Anche l'uso dei flashback, che all'inizio spiegavano una miriade di parti lasciate in sospeso, si è con il tempo affievolito: ma i fan come il sottoscritto non si sono scoraggiati, e hanno comunque apprezzato il lavoro degli ottimi sceneggiatori.
A mio avviso, Prison Break è stata una delle migliori serie mai prodotte negli Stati Uniti, alla stregua di Miami Vice e Oz. Un plauso va alla prima e alla seconda serie, sicuramente capolavori di montaggio, tecnica, e plot. Con la terza serie, accorciata dallo sciopero degli sceneggiatori americani, è iniziato il lento declino della storia, che è terminata forse in un modo troppo scontato, se confrontato con i "fasti" delle puntate di apertura.
Il telefilm rimane per me in ogni caso un vero e proprio capolavoro, con un impiego di attori e di forze straordinario. Ho sentito però anche io il bisogno di arrivare a una fine, pena il cadere nel piattume e nel ridicolo. Attendiamo con ansia l'uscita del dvd con una parte aggiuntiva, non trasmessa in tv, della durata di 2 ore. Sigh.

mercoledì 6 maggio 2009

Recensione: Il Signore del Male (Prince of Darkness, 1987)


Un filmone. Un capolavoro assoluto. Il Maestro John Carpenter ci ha concesso 20 anni or sono un'altra delle sue perle di saggezza: il principe delle tenebre, il signore del male. Un titolo che dice tutto e nulla, ma che riserva agli appassionati delle opere del Vate la certezza di trovarsi di fronte a un lungometraggio di qualità. Già dai titoli di testa, quando ho letto "Una esclusività Cecchi Gori Group" e ho visto che i produttori erano Mario Kassar e Andrew Wajna, gli stessi libanesi di Rambo e Terminator, ho capito che gli applausi sarebbero scrosciati. E così è stato.
In questa opera Carpenter indaga sullo scontro tra ragione e fede, e cerca di smantellare tutti i fondamenti del cristianesimo come solo lui sa fare. Sullo sfondo, un essere malvagio che avanza e accresce il suo potere, mentre un gruppo di universitari cercherà di fermarlo, non senza pesanti ripercussioni sulla propria salute fisica e mentale.
Molte persone trovano questo film davvero terrorizzante: io lo trovo assolutamente inquietante: il messaggio-sogno che tutti i personaggi ricevono è girato in modo così banale ma sapiente da riuscire a fare salire qualche brivido lungo la schiena, pur senza alcun effetto speciale.
La colonna sonora è semplicemente eccellente: sin dall'inizio la sentiamo costantemente, e capiamo che ci accompagnerà per tutto il film, sottolineando magistralmente i momenti di maggior pathos. Chiaramente anche questa è opera del Maestro, e presenta come già noto un massiccio uso di sintetizzatori dell'epoca, che riescono senza problemi a trasformare un semplice suono elettronico in una sorta di coro di voci infernali, per la gioia di tutti i fan di questo genere. Consigliato assolutamente a tutti.

lunedì 20 aprile 2009

Recensione: Sbirri (2009)

Dispiace sempre scrivere una critica negativa di un film dai buoni propositi come Sbirri, ma, ahimè, credo che ciò sia necessario. Raoul Bova si cala nella parte di un giornalista di nome Matteo Gatti che decide di seguire una squadra di Polizia per capire le logiche dello spaccio e dell'uso della droga tra i giovani, dopo che suo figlio è morto a causa di una pasticca di ecstasy. Già da subito l'analogia del cognome con quello di Fabrizio Gatti, giornalista che realmente si infiltra ovunque, è balzata all'occhio, dando un che di "poco curato" al nome del protagonista e mescolando in modo confuso caratteri di una fiction di serie B con quelli di un documentario.
In secondo luogo, il melodramma diffuso come i pianti e le grida di Simonetta Solder sono risultati semplicemente imbarazzanti, creando in sala lo stesso effetto che possono scatenare i Fichi d'India in un cinepattone: gente piegata in due dalle risate, urla, ironici scrosci di applausi. In poche parole, una catastrofe. Quando una scena di pianto fa ridere il pubblico, gli attori dovrebbero riflettere sulla loro credibilità e soprattutto bravura. Se poi il regista insiste troppo su primi e primissimi piani, accentuando ancora di più tutte le espressioni malriuscite, allora si entra nel campo del masochismo puro. I poliziotti dell'Antidroga, già conosciuti nel documentario sicuramente meglio riuscito Cocaina sono semplicemente ottimi, ma purtroppo sono relegati eccessivamente in secondo piano: il titolo del film pertanto è assolutamente ingannevole e a mio avviso squalifica tutto il film, non appena ci si accorge che in realtà il tutto è una mielosa e pedante fiction per famiglie da mandare in onda su Canale 5.
Bova se la cava bene, è credibile e riesce a calarsi in un ruolo non facile. Forse è l'unico assieme alla squadra di Polizia che crede veramente in questo film tra tutti gli attori in scena, che sembrano non di rado pesci fuor d'acqua buttati lì a casaccio.
La scena finale del parto credo che sia una delle peggiori che abbia mai visto in vita mia: avevo, come tutti, le lacrime agli occhi dal ridere.

sabato 4 aprile 2009

Recensione: Mad Max (Trilogia, 1979, 1981, 1985)

La saga di Mad Max mi aveva da sempre incuriosito, tant'è che ho deciso di guardarmela tutta di un fiato questa settimana. Non si tratta a mio avviso di un capolavoro, ma di qualcosa di comunque notevole e da non perdere. Merito degli scenari australiani, che si prestano a una storia ambientata "pochi anni più avanti da oggi" dopo una catastrofe nucleare. Max è un poliziotto buono con una allegra famigliola al seguito, che combatte branchi di teppisti borazzi e muniti di creste che scorrazzano per le strade, razziando ciò che trovano e commettendo tutti i crimini più sadici e peggiori. Dopo che un gruppo di questi soggetti si accanisce su sua moglie e suo figlio, Max impazzisce, e a bordo della sua V8 Interceptor tamarra, costruita da una Ford Falcon XB GT Coupè del 1973, dichiarerà guerra aperta ai pennuti, inseguendoli ad alta velocità per le strade, e provocando incidenti da Premio Nobel.
Personalmente ho amato il primo film della serie, apprezzando in particolar modo la regia estremamente moderna,calibrata, ed estremamente convincente, basata su un budget assolutamente ridicolo: Il secondo e il terzo film sono più o meno alla pari, e sempre secondo il mio modestissimo parere si trovano una spanna più sotto rispetto al primo. Spettacolari e mai sotto tono sono gli incidenti. C'è un vero e proprio gusto per il realismo e un pizzico di sadismo caricaturale. Quello che ho apprezzato meno, invece, è il gap profondo che c'è tra il primo e il terzo episodio in fatto di ambientazione. Se nel primo film infatti si è in uno scenario di degrado molto simile però al nostro mondo attuale con Kawasaki Z1000, automobili vere e proprie, e abitazioni normali, nel terzo ci ritroviamo in un mondo primitivo, desertico, fatto di pseudo-centurioni borazzi e kart alimentati da motori turbogetto. E' un salto temporale un po' troppo affrettato, anche se di grande impatto visivo. E' consigliata a tutti la visione per avere un'idea, tenendo in considerazione il fatto che, soprattutto nel terzo film della serie, il limite tra il colpo di genio e la buffonata è estremamente sottile.

martedì 24 marzo 2009

Recensione: Gran Torino (2008)

In tanti hanno provato ad incentrare film su temi scottanti come il razzismo. Purtroppo, senza riuscirci. Un maldestro e penoso esempio è stato Crash, che ha vinto pure una sfilza di statuette senza motivo. Clint Eastwood è a mio avviso oggi il solo a riuscire a confezionare una pellicola in cui oltre alle emozioni forti vi sono messaggi di una complessità e profondità unica nel loro genere. Il nostro ci ha regalato una perla del cinema internazionale, senza badare al conformismo, alle banalità, ai colori rosa pastello. Clint si introduce in una America in continuo divenire, interpretando il ruolo (che da sempre indossa, come la t-shirt verdona) del vecchio razzista legato ai suoi anni di gioventù, del duro tormentato ma dal cuore buono, del personaggio carogna ma profondamente umano. Gran Torino è la summa dei film di Clint, che giunto a 80 anni di età si guarda indietro, raccoglie ciò che ha seminato, e lancia un grande messaggio di uguaglianza e umanità al suo pubblico, che conta tanti, tantissimi giovani che lo stimano per le sue opere originali e coraggiose. Il tutto, irrorato dalla sua famosa ironia, dalle battutine che solo lui sa pronunciare. Il volto tremolante, la fessura che ha da sempre al posto degli occhi, le rughe profonde non alterano la sua personalità forte e carismatica. Clint è ancora in gamba, anzi, in gambissima. E ci auguriamo che possa regalarci ancora tanti capolavori come questo.

martedì 10 marzo 2009

Recensione: Ratatouille (2007)



A volte capita che il cinema sia come il cibo: poesia. Poesia pura, espressa tramite arti visive capaci di stimolare talvolta anche il palato di chi sta osservando, senza che di fatto stia gustando nulla. E' il caso di Ratatouille, film prodotto da Pixar per Walt Disney Pictures che mi ha letteralmente stupito per i contenuti "alti" e la leggerezza con cui al tempo stesso vengono narrati.
Gli argomenti cardine di tutto il film sono la cucina e la ricerca del piacere nel cibo: a pensarci bene sono temi un po' lontanucci dal target 0-10 a cui questo film è rivolto. Difatti, è molto difficile che un bambino possa comprendere pienamente la mole di concetti, di sapori, e di lezioni che il film propone. Piuttosto, i più piccoli apprezzeranno le disavventure del simpatico topo Remy e dello sguattero Linguini piuttosto che la lezione su come si tagliano le verdure.
Ho avuto modo di mangiare in ristoranti di un certo livello, e mi sono stupito di poter vedere, seppur in forma animata, l'aspetto di una cucina minuziosamente fedele alla realtà, così come di una sala in cui il servizio viene effettuato secondo i canoni tradizionali (anche se la cosa, a causa del fast motion, passa in secondo piano). Non a caso numerosi sono stati gli chef che hanno dato consigli per la realizzazione del ristorante che si vede nel film, e tutto è stato curato nei minimi dettagli. Una cosa a mio avviso insolita, commovente, e da non sottovalutare.
Il tema ricorrente per tutta la durata del lungometraggio è "Tout le monde peut cousiner", una frase ambiziosa e che viene ampiamente spiegata con l'evolversi della storia. Mi sento di condividerla in pieno, nel senso inteso dagli autori (che non svelo).
In conclusione, un grande capolavoro di animazione, adatto a tutti, ma che sarà apprezzato soprattutto dai gourmet, che avranno di che divertirsi per tutta la durata del film. Spettacolare.

domenica 22 febbraio 2009

Recensione: Resa dei conti a Little Tokio (Showdown in Little Tokio, 1991)

E' sempre un piacere guardare su IMDB i voti degli utenti ai film girati da Mark L. Lester: 2.7, 4.9, 3.5, 5.6, 6.1, e cosi via. Gli amanti dell'action movie sanno che in questo caso il voto va letto al contrario: più è vicino a 1, più eccelle. Ed è una sacrosanta verità.
Questa volta il buon Mark, dopo avere diretto magistralmente il capolavoro Commando e avere appena visto Hard to kill ha deciso di mettere insieme un film d'azione sbalordendo qualsiasi mente (razionale, s'intende). Ha accostato Dolph Lundgren a Brandon Lee, ha rubato il guardaroba e l'arsenale di Steven Seagal, e ha confezionato un capolavoro del cinema d'azione unico, ricco di humour e di borazzia.
Dolph Lundgren è figlio di un membro della polizia militare (?) che viene barbaramente ucciso da Yoshida, uno yakuza spietato e cattivissimo. Grazie all'aiuto del fido Brandon Lee lo cercherà, lo troverà, e lo ucciderà senza alcuna pietà. Dolph è bravissimo: porta un pantalone con la vita che gli arriva alle ascelle e una giacca di pelle tamarra, con un sole cucito dietro; anfibi d'ordinanza, pistola, e quando non serve arti marziali a gogo. Peccato che, salvo in rari casi, non si muove neanche. Basta che sfiori il suo nemico per scaraventarlo senza problemi contro la parete di fronte. E' in realtà con le armi che riesce a dare il massimo. La sua specialità è la mitraglietta, insieme al fucile a pompa, il pugnale giapponese, e la katana. Con questa, darà luogo a una delle più fantasiose uccisioni mai viste, che merita da sola tutto il film.
Fantastico poi il suo sesto senso: sa che un cattivo è dietro una porta, la sfonda con un braccio, afferra il marrano e lo trascina a sé facendogli sfondare col corpo tutta la porta. Un capolavoro unico, un grande vademecum per chi al giorno d'oggi vuole fare cinema serio e costruttivo. Memorabile anche la battuta pronunciata dal compianto Brandon Lee: "Hai il diritto di non fare dichiarazioni, hai il diritto di avere un avvocato...e hai il diritto di morire incendiato!"
Unico in questa scena il costume d'ordinanza di Dolph Lundgren, che sembra preso direttamente dai personaggi visti in Mai dire Banzai: una fascia sulla fronte col sol levante, una sorta di gilet da karate kid dalle spalle larghe e un pantalone largo da karate, che gli da un aspetto ancora più goffo e imbecille. La foto allegata parla chiaro.
La colonna sonora e le scene sono le stesse di Hard to kill, e talvolta ci si aspetta di vedere il codino ingellato di Seagal fare irruzione nella scena. Purtroppo, questo non è accaduto.

sabato 14 febbraio 2009

Recensione: Io vi troverò - Taken (2008)

"Io non so chi siete, non so che cosa volete. Se cercate un riscatto sappiate che non possiedo denaro. Pero io possiedo delle capacita molto particolari che ho acquisito durante la mia lunga carriera, che fanno di me un incubo per gente come voi. Se lasciate andare mia figlia la storia finisce qui: non verrò a cercarvi, non vi darò la caccia, ma se non lo farete io vi cercherò, vi troverò, e vi ucciderò." "Buona fortuna".


Un capolavoro assoluto. Un film unico ed entusiasmante. Un grande esempio di cinema d'azione con violenza a raffica come non se ne vedeva da anni, dai tempi in cui Steven Seagal e il suo fido codino spadroneggiavano nelle migliori sale cinematografiche di tutto il mondo.
Liam Neeson interpreta la parte di Brian, un ex agente del governo specializzato in "prevenzione" a cui una banda di albanesi rapisce imprudentemente la figlia, in vacanza a Parigi con l'amica Amanda, da subito destinata a fare una brutta fine.
Il duro Liam partirà alla volta di Parigi, e grazie alla sua tecnologia di alto livello e ai suoi fidi amici 007 entrerà in un traffico internazionale di esseri umani, e si lascierà alle spalle una lunga sfilza di morti, ammazzati nei modi più borazzi e fisicamente improbabili.
Ma è proprio questo che vogliamo noi amanti del cinema di suspance e azione: vogliamo emozioni forti, gratis, e "vendute" a buon mercato. E in Liam abbiamo trovato il nostro eroe.
Da sottolineare anche il risvolto politico della vicenda, dai toni alquanto fascisti e giustizialisti (ma condivisibili in parte): "Venite in questo paese, vi approfittate del sistema, e poichè siamo tolleranti pensate che siamo deboli e indifesi. La vostra arroganza mi offende. E la quota aumenta di un altro 10%."
Come dicevo, le uccisioni sono spettacolari. Arti marziali a gogo, pistole, lame, e salti del nostro impavido Liam, che si lancia attraverso vetrate con nonchalance unica, alla faccia dei suoi 56 anni suonati. Memorabile anche la sua mossa preferita: il tremendo e ripetuto pugno nel fianco delle sue vittime, a cui segue da clichet la rottura delle costole. Spettacolare.
Il ritmo è serratissimo ed avvincente, la storia scorre come acqua fresca, e il nostro eroe arriva a trovare sua figlia dopo essersi vendicato di tutti. Ma proprio tutti. Anche del suo ex amico, agente governativo corrotto, che punisce sparando addosso a sua moglie. Ma niente paura: "E' solo superficiale. Ma se non mi dai quello che voglio l'ultima cosa che vedrai prima che renda i tuoi figli orfani, sarà un proiettile tra i suoi occhi".
Holly Valance, che tutti noi ricordiamo con piacere nel ruolo di Nika in Prison Break ha qui un piccolo ruolo che non passa certo inosservato. Anche la moglie di Neeson, Famke Janssen, è degna di nota: l'avevamo scambiata tutti per la famosa attrice e cantante Laura Angel. Tutti gli altri attori sono decenti, ma non è la loro recitazione che conta. A tutto ci pensa lui e soltanto lui. Il Super Liam Neeson.

venerdì 13 febbraio 2009

Recensione: Cloverfield (2008)

Al solito, Cannibal Holocaust è il punto di partenza per la realizzazione di film horror/disastrosi intenzionati a guadagnarsi il titolo di capolavori tra i teen-ager e i non addetti ai lavori. In realtà di novità in questo Cloverfield c'è veramente poco. Anzi, probabilmente niente.
A un orrendo e gigantesco mostro che butta giù palazzi e scoreggia grossi e cattivissimi ragni viene in mente di distruggere New York. L'esercito interviene con bombe H, razzi, bazooka, ma non c'è niente da fare. L'animalazzo non viene scalfito dalle armi umane, anzi, schiaccia col suo piedone anche i carri armati alla stessa maniera di Godzilla. Il tutto viene filmato da uno dei ragazzi presenti a un party attraverso una videocamera digitale. E il film non è altro che il girato in prima persona di tutto quello che succede in quel triste giorno per l'umanità, e un mese prima, con le vicende personali del protagonista. Niente di innovativo, insomma.
La continua pubblicità occultà di Nokia, Lacoste, e Nike caratterizza il film per quello che in effetti è: un prodotto commerciale da consumare e gettare via subito dopo.
Morte, distruzione, effetti speciali di prim'ordine riescono però a tenere viva l'attenzione nei soli 70 minuti di film, che ha come grandissimo pregio l'esigua durata, e una ciurma di attori piuttosto bravi.
Il Barbareschi della comitiva è in realtà uno scemo che si fa sbranare dall'animalazzo di turno, morendo allo stesso modo del suo "antenato" holocaustiano. Tante, troppe le analogie con la suprema opera di Deodato, Godzilla, Predator, e King Kong, riconosciute dagli stessi autori a tal punto da inserire espliciti riferimenti durante il film. La prossima volta si degnino almeno di inserire un po' più di sangue. A parte qualche rara scena, gli amanti dello splatter sono rimasti piuttosto insoddisfatti.

domenica 8 febbraio 2009

Recensione: Slumdog Millionaire (2008)

Ieri sera ho deciso di ritornare al cinema dopo tanti mesi di assenza dalle sale. E, invogliato dalle critiche positive sentite, ho optato per Slumdog Millionaire, film di Danny Boyle ambientato in un'India spietata e incasinata. E purtroppo, sono rimasto abbastanza deluso.
Il film narra la storia di un ragazzotto stupido (ma sincero) che riesce a rispondere correttamente alle domande del popolare quiz che trasforma la gente in milionari, e si intasca così una somma da capogiro. Ogni domanda del quiz è l'occasione per ripercorrere parti della sua triste e penosa vita, la cui unica luce è chiamata Latika, sua innamorata e promessa sposa dai tempi dell'asilo nido. Il film scorre bene, è piacevole da vedere, e mostra senza pudore alcuni aspetti underground dell'India che in realtà appartengono a quasi tutti i paesi del mondo, Italia compresa. La storia richiama palesemente City of God e suoi derivati diretti, e a mio avviso scarseggia di fantasia, andando a scopiazzare qua e là senza alcun minimo ritegno. Non a caso, la colonna sonora del format "Chi vuol essere milionario" la fa da padrone, assieme ad alcune (orecchiabili) musiche indo-dance.
Il film vorrebbe inoltre essere una storia d'amore. In realtà, sempre a mio modesto parere, la storia d'amore è in secondo piano rispetto alle vicende personali del protagonista Jamel. E l'epilogo è semplicemente scontato, banale, e poco coraggioso.
Il film ha tutta l'aria di un prodotto creato per essere diffuso a livello internazionale, ma purtroppo è un concentrato di "già visto", di luoghi comuni, e di fretta nel mettere insieme i pezzi. Dall'inizio alla fine i numerosi colpi di scena sono prevedibili da chiunque, e non mancano elementi caricaturali su cui probabilmente un audience indiana si mette a ridere. Scontata e boccaccesca anche la scena di andreucciana memoria, già vista e rivista in ambito cinematografico e letterario, in cui il giovane Jamel che cade in una pozza di guano. A giudicare dalle risate in sala e dai commenti della gente, è davvero innegabile che la merda riscuote sempre un grande successo.

giovedì 5 febbraio 2009

Recensione: The Fountain - L'albero della vita (2006)

L'anno nuovo è cominciato con una serie di grandi fortune e sfortune. Hanno prevalso le seconde sulla mia salute, e pertanto sono stato costretto a un periodo di pausa forzata. Forse ne avevo proprio bisogno. Ricominciamo quindi con un capolavoro di film, sempre a mio modesto parere; il titolo, The Fountain, sarà sicuramente sfuggito ai più, quando è uscito nel marzo 2007 in Italia.
Ed è un peccato. Il sesto film del 40enne Darren Aronofsky è senza ombra di dubbio una delle sue migliori opere. Sul genere ho anche io qualchè difficoltà. Direi che prevale il lato drammatico, ma è anche un film fantasy e sentimentale, con punte oniriche e di grande impatto visivo.
La trama è irraccontabile, anche perchè, di fatto, non c'è. L'unico tema presente nel film è l'amore. Stop.
Il film è una grande storia d'amore narrata in modo originale e profondo, grazie a un montaggio magistrale e coraggioso, e un uso degli effetti speciali davvero massiccio, ma mai invadente. E sullo sfondo, al solito, un'ottima colonna sonora di Clint Mansell, compositore già apprezzato da anni nei film di Aronofsky, così apprezzato anche da Peter Jackson che ha usato il tema di Requiem for a Dream per Il signore degli anelli. Proprio sulla colonna sonora è necessario soffermarsi e levare un plauso. Insistente, coinvolgente, profonda, grazie anche all'uso di archi solisti, sempre amati e usati da Mansell.
Spettacolare e intelligente la parte fantasy, dapprima disarmante per lo spettatore, poi sempre più naturalmente abbracciata con la parte "reale" del film. Hugh Jackman è bravissimo, un po' meno a mio avviso Rachel Weisz, ma un plauso speciale spetta allo scimpanzè Donovan.
Un immenso film, da gustarsi Blu-ray su un plasma 52'' Full HD.