giovedì 24 gennaio 2008

Qualcosa sta cambiando

Ieri, oggi, domani. A quest'ora della notte guardo quello che mi passa davanti agli occhi, che è passato, e cerco di riflettere su quello che dovrà accadere. Guardo quello che sta attorno a me, dentro di me, e lontano da me. Possibilmente, concentrandomi solo sull'essenziale.
E capisco che in fondo ci sono chiari segnali di un cambiamento serio e imminente. Qualcosa me lo ha fatto intuire già da tempo. Ho capito che verso la fine di gennaio la mia persona sarebbe cambiata profondamente.
Credo nei segnali premonitori, è vero. Credo che se una cosa deve succedere, succede, e che la forza di volontà può fare molte cose.
Voglio scusarmi fin da ora con alcune persone con cui ho avuto un atteggiamento a dir poco ambiguo. Probabilmente questo le ha fatte irritare e probabilmente le ha confuse, deluse, rattristate.
Non sono cambiato poi molto dal ragazzo in foto. In fondo, sono sempre su un palcoscenico, ho la voce impostata e per non affrontare i volti bui del pubblico fisso le luci puntate sopra di me, puntando lo sguardo verso l'alto.
Nonostante tutto, so ancora ascoltare, e sono pronto a farlo in qualsiasi momento. Basta non prendermi in giro, basta semplicemente chiarire le idee, basta ascoltare il famoso grillo parlante che rode il cervello nei momenti più belli. La vita è breve, il tempo fugge, e la possibilità di parlare non è mai illimitata.
Se e quando cambierò atteggiamento, cambieranno anche molte cose insieme a me, e probabilmente in lato molto negativo. La possibilità che nulla cambi, però, non è da escludere. Basta, semplicemente, come io stesso sostengo, volerlo.

martedì 22 gennaio 2008

Recensione: Zombie '90 Extreme Pestilence (1991)


Per festeggiare l'inizio del nuovo trimestre universitario ho voluto concedermi un capolavoro del genere horror splatter amatoriale, che ha i suoi più grandi estimatori in tedeschi neonazisti e americani pazzoidi con habitat nel deserto dello Utah.
Andreas Schnaas è il regista di questo capolavoro assoluto, girato all'età di 23 anni ad Amburgo, città che bene si presta ad un'orrenda e pestilenta invasione di morti viventi.
La storia è fantasiosa e azzeccata: un aereo militare carico di sostanze zombificanti cade nei pressi della famosa Hamburg, irrorando la foresta di questo liquido. Un medico pazzoide col gusto del sangue si impadronisce della pozione e comincia a resuscitare morti, non calcolando però che la pestilenza ben presto si diffonderà, e gli zombie cominceranno a invadere la città, uscendo persino da lampadine, solai, e da scatole dello sciacquone del cesso.
Per 72 minuti il pubblico verrà letteralmente annaffiato di sangue, creato ad hoc da Schnaas con succo di pomodoro, per passare alle varianti più rosate del tema, create grazie al sugo ricotta e noci Barilla. Il regista usa una tecnica non nuova ma efficace per creare lo spruzzo: semplici tubi per annaffiare piante magistralmente nascosti negli stomaci sventrati delle vittime (che li coprono doloranti con i loro arti) vengono tenuti ad alta pressione finchè, sul più bello, le valvole vengono aperte e una fontana di passata Cirio inizia a diffondere condimento in giro, per la gioia degli zombie che, doppiati dallo stesso Schnaas, leccano e risucchiano vogliosi il loro nutrimento rossastro. Budella e cuori di bue, salsicce becere tedesche e condimento a volontà vengono sbattuti contro la telecamera, riuscendo a shoccare anche lo spettatore più smaliziato.
Proprio lo stesso Schnaas doppia la versione inglese del film, dimostrando una poliedricità tale da riuscire a doppiare tutti i personaggi con voci in falsetto, risucchiare e slappare nelle scene di "banchetto", e ululare in prossimità dell'arrivo dei nostri zombie. Questi, a loro volta, sono interpretati da brillanti attori tedeschi molto famosi a livello dei bordelli e dei cabaret da due lire locali.
Il trucco è esemplare: lo strato di cerone bianco dei morti viventi, che copre la faccia ma non le orecchie e il collo, è un chiaro indice di genuinità e di parsimonia nelle scene, girate nella migliore tradizione amatoriale con una telecamera VHS comprata al supermercato.
Memorabile la scena dove il dottore, in procinto di essere divorato dai nostri, sogna di essere sul cesso ad evacuare, e sul più bello si accorge di avere finito la carta igienica. Attuerà una decisione critica, ma intelligente: alzarsi in piedi, tirarsi su i pantaloni, ed uscire dal bagno. Io non ci avrei mai pensato.

giovedì 17 gennaio 2008

Recensione: La promessa dell'assassino (Eastern promises), 2007

Avevo nasato da tempo che dopo A history of violence David Cronenberg si era innamorato di Viggo Mortensen. E non mi sbagliavo.
Viggo, detto Aragorn, è uno degli attori che oggi più si prestano a fare la parte del delinquente dal passato vissuto. E tutto ciò grazie alle rughe dei 50 anni in arrivo, al teschio che ha al posto del viso e al suo sguardo invasato. Eastern Promises, film che vado a recensire, è cucito apposta sul nostro eroe.
A vederlo eravamo in 8. Forse perchè il cinema con intelligenza lo proietta solo alle 22 30, e preferisce tenere titoli come "L'allenatore nel pallone 2" in fascia pomeridiana e serale. La storia è molto semplice. Dopo un inizio in cui un barbiere mafioso con un rasoio da barba sgozza un appartenente di alto rango della mafia russa, colpevole di aver dato a Cassel dell'ubriacone, cosa vera e sacrosanta, una tossica va dal farmacista sbrodolando sangue. Portata in ospedale, la nostra crepa, nn prima di avere dato alla luce una bambina, il cui destino pare essere infausto.
Un'infermiera impicciona e stupida si preoccupa di rispedire il bebè al mittente, e decide di sottrarre il diario che la ragazza aveva con sè, per cercare qualche riferimento alla sua famiglia.
Purtroppo per lei, però, nel diario ci sono rivelazioni scottanti sulla famiglia di Cassel, sempre in forma nella parte dell'alcolista, e soprattutto sul padre, che si scopre essere pure il padre della piccola.
Il vecchio, che si fa notare per le lenti a contatto azzurro ghiaccio, è un boss russo di quelli tosti, che dietro al suo lussuoso ristorante, e tra un ociciornia e un'altra, gestisce traffici non ben precisati di armi, droga, prostitute, bottiglie di vino, e piccioni viaggiatori.
La nostra infermiera avrà la buona idea di andare a sputtanare a questo vecchio di essere in possesso del diario scritto dalla tossica, e da lì cominceranno ovviamente tutti i suoi problemi.
Non svelo altro riguardo la trama, perchè non voglio togliere al pubblico la sorpresa, ma parlerò della cosa più bella del film: le scene violente.
Il film è caratterizzato da un costante spargimento di sangue, che inizia con un paio gole tagliate, tra cui quella di uno spastico che viene sgozzato mentre piscia su una tomba in un giardino pubblico.
Segue poi un occultamento di cadavere che non è nulla di che, ma la vera sorpresa si ha con Viggo completamente nudo e tatuato nella sauna, per la gioia del pubblico femminile.
Sulla scia di A history of violence, Cronenberg manda al nostro Aragorn 2 sicari ceceni. Questi, ovviamente, per ammazzarlo secondo la tradizione non usano pistole, ma coltelli. E qui vediamo Viggo che, nudo come mamma l'ha fatto, si becca delle coltellate saltando per la sauna e volando letteralmente da una stanza all'altra, sempre con le palle per aria.
La scena, carica di sangue e violenza, culminerà con il nostro che, dopo un estenuante combattimento, fredderà un ceceno ficcandogli il coltello in un occhio, con conseguente sgorgamento di sangue denso sul pavimento di quella lurida sauna inglese.
Sono sincero: non mi aspettavo un A history of violence 2, ma in effetti così è stato. La trama l'avevo già intuita al terzo minuto, così come i combattimenti del nostro. Tuttavia, il film è ben girato, la storia non è male, anche se prevedibile, e soprattutto lancia un messaggio da non sottovalutare: se avete fatto qualche sgarbo a un barbiere, è meglio che andiate a farvi fare la barba da qualcun altro.

sabato 12 gennaio 2008

Recensione: Leon (1994)


"Leon, esattamente che lavoro fai per vivere?" "Le pulizie."
Cominciamo in questo modo a conoscere il ruolo da superprotagonista di Jean Reno, che quando non prende parte a kolossal e a film cazzaroni riesce a interpretare personaggi che lasciano il segno.
Leon è un killer professionista che prende sotto la sua amorevole tutela una giovanissima Natalie Portman, ragazza già allora difficile, con una famiglia sterminata da non ben precisati uomini legati all'antidroga, tra cui svetta un pazzoide che si fa di pillole colorate. E in quanto ad ammazzare la gente Jean Reno non ha nulla da invidiare a nessuno. E' veloce, svelto, sicuro di sè. Farebbe sicuramente coppia con Seagal: uno con la katana, l'altro con il mitragliatore.
Spinta da un'irresistibile voglia di vendetta, la nostra giovane prenderà lezioni di macelleria dal nostro cugino d'otralpe, che le spiegherà ogni trucco del mestiere in cambio di pulizie, compagnia, e bevute di latte insieme.
Ovviamente dovrà fare pratica su persone vive, sparando proiettili pieni di vernice rossa. Interessante ed esaltante è stato per me vedere che una delle sue cavie era proprio Robert LaSarda. Non l'ho citato nella recensione di Duro da Uccidere, ma il nostro Robertino è uno dei punk che ammazzano il povero vecchio dello store dove Seagal esce senza pagare. Seagal lo punisce bastonandolo a dovere, e girandogli il piede a 270°, una delle scene più cruente del film. Anche qui non se la caverà: dopo le sadiche prove coi proiettili finti, Leon penserà di cessare la cacca a spruzzo di Robertino, freddandolo con 2 colpi.
Sono sincero: mi aspettavo molto di più da un film che gli utenti di IMDB hanno collocato come 38° miglior film della storia del cinema, davanti ad Arancia Meccanica e a Le Vite degli altri.
In primis, ci sono tantissime imprecisioni che rendono il film estremamente finto. Tra tutte, Jean Reno non ha certo la faccia da italiano, così come un nome tipico del Belpaese: Leon (Leone, nella sua variante italica).
Poi le figure dei poliziotti corrotti sono assolutamente fumettistiche: emergumeni strafatti di coca e pillole che si comportano in modo assolutamente irrealistico hanno poco a che vedere con i distretti di polizia. Per di più, l'amicizia con la bambina si evolve in modo totalmente irregolare e ambiguo. Sostanzialmente, la psicologia dei personaggi pare l'abbia curata Vittorino Andreoli.
Non so se Besson voleva fare un film apposta esagerato, ma non vedo grossi spunti di riflessione dietro una storia fatta di sparatorie e qualche leggero tocco di violenza (niente a che vedere con Seagal naturalmente).
Deciderò domani se cestinare il film o meno. Intanto, attendo qualche vostro commento.

venerdì 11 gennaio 2008

Boz risponde a Francesco: Babel


Caro Francesco,

ho letto la risposta alla mia recensione che hai pubblicato qui. Mi scuso coi lettori se sono stato troppo ermetico, ma purtroppo alle 2 di notte dovevo ancora ragionare bene sul piattume che avevo appena visto.
Prima di tutto tengo a precisare che la mia questa volta non voleva essere una recensione, che implica necessariamente anche trama e temi del film, ma una pura critica, come dimostra anche il tag che ho affibbiato al post.
Veniamo ora al film, se così si può definire. Il film affronta le indiscutibili tematiche che tu, Francesco, hai sottolineato, ma lo fa in un modo scostante, indiretto. Il regista si trasforma in una sorta di narratore onnipresente e onnipotente che si intrufola nelle scene più ridicole e penose, vedi ad esempio quella del bambino arabo che si masturba dopo aver visto sua sorella nuda, o la sordomuta giapponese dalla sessualità alquanto repressa che spalanca le coscie in giro. Pare che Inarritu voglia infilare il sesso a tutti i costi per ravvivare la trama. Lo fa anche quando l'americana si piscia addosso con Brad Pitt al suo fianco. Quello forse è il momento più sessualmente carico di tutto il film.
Ma di per sè il film lascia poco, perlomeno al sottoscritto e a una parte di amici che la pensano come lui.
Si ha come l'impressione di trovarsi in un neorealismo pasoliniano con una trama scritta sull'aria attraverso segnali di fumo.
Il film scivola, vola via sull'elicottero della Croce Rossa che porta in salvo i nostri eroi, che piangono tutto il tempo, sono incasinati, si spogliano, sono in mezzo al lerciume, sporchi di sangue e di vuoto. E non lasciano nulla allo spettatore, se non un grande dubbio: "Di cosa parlava sto film?".

giovedì 10 gennaio 2008

Critica: Babel (2006)


Ci risiamo. Dopo quella immensa buffonata di 21 grammi, Inarritu è tornato con il solito film corale. 10 protagonisti sparpagliati per il mondo e legati da un fucile. Più di questo non dirò, visto che se svelassi la trama in realtà arriverei agli ultimi 10 minuti di film.
Copione già visto, rivisto e stravisto, che i tanti abituati a guardare film di mafia e di Tarantino (perchè sono cool) apprezzano e glorificano. Peccato per loro.
La regia del film è ottima, così come gli attori, il trucco, la sceneggiatura. Tutto studiato ed eseguito al meglio. Ma purtroppo ancora una volta il manierismo trionfa, così come la telecamera a spalla, i piagnistei e il dramma imperante.
E' vero, c'è molto di peggio. Ma è grave che la gente da "Quei bravi ragazzi" pensi che questo sia un bel film. Che sia un film, per così dire, impegnato.
Purtroppo non si è ancora capito che i film d'autore sono altri. E fin quando questo non entrerà nella testa delle persone, e soprattutto nelle sale cinematografiche, allora Crash potrà vincere 3 oscar, questa roba sarà "il meglio in circolazione", Muccino sarà il re dei registi italiani, suo fratello scriverà sceneggiature con Verdone, e DeSica a Natale sbancherà i botteghini.
E tutti osanneranno quella cazzata di The Departed, perchè stupisce, perchè è un film che dura 3 ore e gli attori sono bravi. Ma soprattutto perchè qualche pirla, senza neanche averlo visto, ne ha parlato bene. Bleah.

venerdì 4 gennaio 2008

Buon anno, Boz!


Che i ferraresi fossero maestri nell'augurare cancri e lanciare accidenti era cosa nota. Ma che portassero pure sfiga, beh, non me lo aspettavo.
Ieri sera, di ritorno da una vacanza in Germania con Laura, un simpatico signore accanto a me parlava della linea Bologna-Venezia, su cui lui viaggia da tanti anni. A suo dire, è una linea preferita da coloro che vogliono suicidarsi buttandosi sotto il treno. A suo dire, erano almeno 2-3 anni che nessuno decideva di autoseccarsi sotto una motrice.
Passati 10 minuti da questi suoi racconti, all'altezza di Monselice il treno ha frenato. E' rimasto fermo per circa una decina di minuti, in cui tutti hanno continuato a parlare, ridere, scherzare. Poi l'annuncio del capotreno. "Ci dispiace, ma abbiamo appena investito una persona, e questa persona è morta". Il tutto sotto la neve che cadeva lentamente, in silenzio, in mezzo agli agri veneti, dove lo squallore è tanto grande quanto l'economia che gira in questi posti.
Buon anno, Boz. Che quest'anno cominci meglio di come è finito il 2007, iniziato alla grandissima, e finito molto male. Che ci siano casini sempre più grossi ma sempre più risolvibili, e che la follia continui a motivare le mie giornate. A me, e a tutti quanti, i miei più cari auguri.