Dispiace sempre scrivere una critica negativa di un film dai buoni propositi come Sbirri, ma, ahimè, credo che ciò sia necessario. Raoul Bova si cala nella parte di un giornalista di nome Matteo Gatti che decide di seguire una squadra di Polizia per capire le logiche dello spaccio e dell'uso della droga tra i giovani, dopo che suo figlio è morto a causa di una pasticca di ecstasy. Già da subito l'analogia del cognome con quello di Fabrizio Gatti, giornalista che realmente si infiltra ovunque, è balzata all'occhio, dando un che di "poco curato" al nome del protagonista e mescolando in modo confuso caratteri di una fiction di serie B con quelli di un documentario.
In secondo luogo, il melodramma diffuso come i pianti e le grida di Simonetta Solder sono risultati semplicemente imbarazzanti, creando in sala lo stesso effetto che possono scatenare i Fichi d'India in un cinepattone: gente piegata in due dalle risate, urla, ironici scrosci di applausi. In poche parole, una catastrofe. Quando una scena di pianto fa ridere il pubblico, gli attori dovrebbero riflettere sulla loro credibilità e soprattutto bravura. Se poi il regista insiste troppo su primi e primissimi piani, accentuando ancora di più tutte le espressioni malriuscite, allora si entra nel campo del masochismo puro. I poliziotti dell'Antidroga, già conosciuti nel documentario sicuramente meglio riuscito Cocaina sono semplicemente ottimi, ma purtroppo sono relegati eccessivamente in secondo piano: il titolo del film pertanto è assolutamente ingannevole e a mio avviso squalifica tutto il film, non appena ci si accorge che in realtà il tutto è una mielosa e pedante fiction per famiglie da mandare in onda su Canale 5.
Bova se la cava bene, è credibile e riesce a calarsi in un ruolo non facile. Forse è l'unico assieme alla squadra di Polizia che crede veramente in questo film tra tutti gli attori in scena, che sembrano non di rado pesci fuor d'acqua buttati lì a casaccio.La scena finale del parto credo che sia una delle peggiori che abbia mai visto in vita mia: avevo, come tutti, le lacrime agli occhi dal ridere.