sabato 8 novembre 2008

La vera sfida di Barack Obama

Non ho amato da subito il grande entusiasmo di Barack Obama così come non ho amato ile posizioni di John McCain. Eppure, oggi, mi sento sicuro su chi fosse realmente il candidato migliore per il sottoscritto.
Per capirlo, ho dovuto aspettare di arrivare agli ultimi giorni di campagna elettorale, di seguire con trepidante attesa l'evolversi delle vicende politiche che segneranno i prossimi 4 anni di vita del nostro pianeta terra.
E' errato a mio avviso valutare un candidato un anno e mezzo prima del voto, e mantenere la propria scelta in barba all'evolversi delle vicende, solo per iniziali simpatie. Così come è errato votare sempre e solo per il candidato presentato dal proprio schieramento politico, senza valutarlo per quanto ha fatto in passato e per come conduce il suo passpartout: la campagna elettorale.
Questo malcostume lo abbiamo da sempre sotto gli occhi in casa nostra, dato che sappiamo tutti che gli italiani sono un popolo prevalentemente fascista che ha votato Silvio Berlusconi in buona parte "per non dare i voti ai comunisti".
Davanti a questa primitiva forma amebica di democrazia e di intelligenza, non si può fare a meno di inginocchiarsi, togliersi il cappello, e cercare di tenere a freno la rabbia e lo sconforto.
Tra i due candidati alla Casa Bianca, sicuramente John McCain era il più populista. Attenzione, si tratta di populismo nel senso berlusconiano del termine!
Questo tipo di populismo si è rivelato in tutta la sua losca natura nelle ultime settimane di campagna elettorale, e ha compreso messaggi televisivi di disinformazione, screditamento dell'avversario, gaffe, e assoluta incapacità di condurre una campagna leale.
Quello stesso modus operandi che anche in Italia negli ultimi anni si è consumato più volte. In aggiunta a ciò, una candidata alla vicepresidenza che non sapeva neppure che l'Africa fosse un continente, che era a tal punto contro l'aborto da volerlo impedire anche alle vittime di stupro, e che era così ignorante da gettare ombra su quanto di buono ci fosse nelle intenzioni di John McCain.
C'è un video elettorale che gira in rete, in cui John McCain pronuncia un messaggio che più o meno dice così: "Ho servito il mio paese come soldato in Vietnam; per questo non c'è nessuno migliore di me per combattere il terrorismo".
Questa è la stessa equazione di Maxwell-Carfagna: ho fatto le marchette per anni, non c'è nessuno migliore di me per combattere la prostituzione". E non è altro che un penoso messaggio di stampo populista, come ce ne sono stati tanti in questi mesi.
Il "Yes, we can", di Barack Obama ha in sè qualcosa di più sobrio. Ha in sè il concetto di "Dream", che per un nero negli USA ha una sua legittimità forte e radicata. In questo caso non si tratta di populismo, si tratta di idealismo e utopia che per una volta nella storia qualche giorno fa si sono trasformate in realtà.
Ma c'è stata una cosa in più che a tanti è sfuggita qui in Italia, ma che in America è stata a mio avviso la carta vincente di Obama: la questione energetica.
Nonostante tutti mettano la crisi economica internazionale al primo posto delle preoccupazioni attuali, i cambiamenti climatici e il costo del greggio sono temi che sono diventati cari a moltissimi americani, in barba alla politica di George W. Bush che ha legato gli Stati Uniti e il mondo intero al petrolio sempre di più in questi anni, alla faccia di un agognato e razionale buon senso che avrebbe voluto l'opposto.
Non è un caso se le vendite della Toyota Prius negli USA hanno superato quelle dei SUV. Non è un caso se i recenti aumenti del costo del petrolio e la primavera a gennaio a New York hanno spaventato la gente in un modo imprevisto dalle logiche neocon.
C'è poco da fare. McCain è legato indissolubilmente all'oro nero, così come da sempre lo è il suo partito, e i suoi timidi tentativi di "cercare ancora gas naturale sul territorio" e di "investire nelle fonti per l'energia alternativa" non sono bastati agli americani.
Ieri Barack Obama ha annunciato di voler ridurre le emissioni di CO2 dell'80% entro il 2050, spingendosi più in là persino di quel protocollo di Kyoto del 1997 che gli USA non hanno mai ratificato.
Sono queste le scelte coraggiose che il neo Green Party americano vuole, e sono queste le scelte che incentivano l'industria a innovarsi, e il progresso ad accelerare i suoi passi verso un futuro in cui l'energia possa essere rinnovabile e non debba essere acquisita tramite guerre preventive.
La vera sfida di Barack Obama sarà pertanto quella di destreggiarsi tra le lobby che controllano da sempre la politica americana per mettere in atto quanto ha promesso ai suoi elettori. Sarà questo il vero "Change" di cui il mondo adesso ha estrema necessità, sarà questa la vera "mission :impossible" che fino a poche ore fa era ancora più utopica di un presidente nero alla Casa Bianca.
Ma come lo stesso Obama ha detto, "Nulla è impossibile in questo paese". E penso proprio, caro Barack, che hai davvero ragione. Buona fortuna.