giovedì 28 febbraio 2008

Recensione: Non è un paese per vecchi (No country for old men, 2007)

Quando mi è stato proposto di andare a vedere al cinema un film dei fratelli Cohen, prima di accettare ho posto una condizione: per soddisfare i miei gusti cinematografici e la mia nota sete di cattiveria si sarebbe visto anche John Rambo, il nuovo capolavoro di Sylvester Stallone.
Difatti, sospettavo fortemente che mi sarei trovato di fronte al solito film pluricandidato (e pluripremiato) agli Oscar, che come da copione delude le aspettative di tutti. E così è stato.
Ovviamente i soliti tarantiniani gridavano al miracolo. A loro basta vedere un po' di sangue, tensione, pallottole, e un paio di colpi di scena non ancora visti (solo da loro) sul grande schermo. E a quanto pare, anche agli americani basta tutto ciò, al punto da eleggere questo film come 38° miglior film della storia del cinema, davanti a capolavori assoluti come The Shining e Le vite degli altri.
Al solito, basta che un film abbia più di un regista perchè si parli di film d'autore. Se poi il film viene girato da 2 fratelli che fanno Cohen di cognome, nella testa delle persone è sicuramente d'autore.
Dopo tutte queste premesse, mi sono riproposto di non informarmi su trama e commenti su questo lungometraggio, al fine di non lasciarmi influenzare. E sono arrivato al cinema completamente ignaro di ciò che stavo per andare a vedere.
E ho fatto bene, perchè anzichè mezza stella, si sarebbe beccato 1/10 di stella come voto. Su 5 stelle, ovviamente.
La storia parla di un povero contadino americano nullafacente che trova per caso una borsa con 2 milioni di dollari. Un pazzo scatenato interpretato da Javier Bardem, premiato con l'Oscar (era ora) gli darà la caccia al fine di recuperare i soldi, e ammazzando la gente sul suo percorso con una bombola di aria compressa.
Bardem è bravissimo. Non a caso, si è beccato l'unico Oscar sensato assegnato a questo film. Alto, con la faccia da stupido, un antiestetico caschetto, e silenziatore cromato, è il killer sanguinario e improbabile che pochi si sarebbero immaginati.
Tommy Lee Jones ha l'ingrato compito di tessere una storia parallela a quella di Bardem, dispensando luoghi comuni e lanciando una profonda riflessione sulla crisi dei valori in America. Tutto ciò, lungo una scia di sangue e violenza che tiene lo spettatore con il fiato sospeso per un bel po' di tempo. Troppo, anche per i miei gusti beceri.

martedì 19 febbraio 2008

Recensione: Crank (2006)

Avvertenza prima dell'uso: sto per recensire un film che oltre a essere stupido è pure brutto. Pertanto, non stupitevi se lo stile inevitabilmente scadrà, e se non mi dilungherò più di tanto.

L'immagine parla chiaro, non ci sono scuse. Siamo di fronte all'apoteosi del film cazzaro, alla morte del cinema d'autore, al trionfo del postmoderno. L'ometto pelato in foto con camice a pallini è il prescelto dai capi di Hollywood per diventare il nuovo duro più duro. Questo sosia di Bruce Willis è infatti Jason Statham, che noi per comodità e fierezza della nostra bandiera nomineremo da ora in avanti Giasone. Costui però interpreta la parte di Chev Chelios, che sempre per comodità e riminiscenze d'infanzia abbrevieremo con Cheerios.
Dopo questa seconda e vitale premessa, passiamo alla terza: la storia è in questo caso abbastanza complicata.
Ricky Verona, pseudo cattivone che ha un nome da attore porno, è un sudamericano pelato e con camicia di Gucci che a tradimento inietta un potente veleno nel collo taurino di Cheerios. Costui non è altro che un killer professionista in procinto di andare in pensione a 30 anni, ritirandosi a miglior vita con la sua ochetta Eve, completamente all'oscuro dei loschi traffici in cui il suo fidanzato sguazza. Il veleno in questione che circola nel collo di Giasone è denominato "Cocktail di Beijing", e già questo basterebbe per classificare il film. Tale pozione non fa altro che inibire la produzione di adrenalina, necessaria per non fare fermare il cuore. Di conseguenza, non essendoci antidoto, l'unico modo che Giasone avrà per sopravvivere sarà quello di provare forti emozioni, o in alternativa, di farsi delle più disparate sostanze come un punkabbestia di Via Petroni.
Già al secondo minuto del film lo vediamo comprare 2 grammi di cocaina: la bustina gli viene lanciata con disprezzo da un nero sulla fronte, e lui, sudato e in preda al panico, non manca di stracciarla per il nervosismo, spargendo la preziosa e vitale polverina per terra, e pulendo di conseguenza con le sue narici il lercio pavimento di un retrobottega di un night club aperto alle 2 del pomeriggio, e frequentato da fratelli afroamericani.
Di lì in poi, comincia il delirio totale. Cheerios inizia il suo viaggio in macchina dentro un supermercato alla ricerca di emozioni forti nonchè di vendetta nei confronti di Verona, che auspica che il veleno entri presto in circolo nel corpo possente del suo antagonista. Ma con l'aiuto di un finto medico dai gusti sado-maso, Giasone scoprirà nuove sostanze che lo portano a uno stato di fattanza sempre più alto, in cui tronca braccia con un trinciante, distrugge un mall con la sua macchina, atterrando indenne su una scala mobile, e tiene sotto scacco la polizia locale, incapace di fronteggiare un tossico del suo calibro. Seguiranno scene dalla recitazione imbarazzante, in cui quel pagliaccio di Ricky Verona dimostrerà di essere un cattivello da poco, e che se qualche duro vero (vedi Seagal) fosse in zona, sicuramente riuscirebbe a fargli piantare di tirarsela con la sua pelata da quattro soldi.
Il tutto è naturalmente farcito da orribili battutacce senza capo nè coda, che culminano con una scena di sesso in mezzo a Chinatown ai limiti della decenza, in cui il nostro eroe dagli istinti pedofili riuscirà finalmente a farsi la sua procace fidanzata, che avevamo già scoperto in American Pie essere esibizionista senza alcun ritegno.
Chi volesse vedere la scena di sesso più ridicola della storia del cinema, che non ha rivali neppure tra i film di serie B anni 70, può cliccare qui.
Dopo avere gustato questa scena, così come l'intero film, non posso fare altro che essere d'accordo con Giasone. Grazie a Dio, "I'm alive!!!"

domenica 10 febbraio 2008

Recensione: Cobra (1986)

- "Tu non lo farai.... porco! So che nn sparerai! La Legge punisce gli assassini...puoi solo arrestarmi se ci riuscirai...anche io ho i miei diritti, non è vero, porco? Arrestami, diranno che sono incapace di intendere e di volere. I giudici sono gente civile...non è vero, porco?"
- "Ma io no. Qui la legge si ferma e comincio io (pausa). Stronzo."

Ci troviamo nell'America degli anni 80. Il Nuovo Ordine Globale si sta diffondendo sempre di più, e branchi di pazzoidi armati di ascia bipenne si riuniscono in Mandrie, ululando come porci, e rotolandosi nel fango come lupi.
E' in questo infausto momento che iniziamo a conoscere Marion Cobretti, detto Cobra, poliziotto addetto ai "gasati" e avvezzo come sempre a metodi non convenzionali. Lo vediamo arrivare su una vecchia 1950 Mercury, col suo tipico occhiale a goccia specchiato dai riflessi blu. Stallone è in forma come sempre, e con la sua stazza da duro e le sue frasette ad effetto è l'unico in grado di sgominare la banda di pazzoidi sanguinari che si sta infiltrando ovunque, anche nel suo reparto.
In conflitto aperto coi suoi colleghi, ma sempre in coppia col suo fido tirapiedi Gonzales, il nostro riesce in imprese impossibili, si innamora della bella Brigitte Nielsen, e fa fuori un centinaio di Harleisti, giunti in uno sperduto paese di montagna della provincia americana per spaccargli la testa.
Ma il nostro Rambo è armato di tutto punto, lancia bombe a mano come noccioline, e apre i culi di tutti coloro che gli si presentano innanzi.
E alla fine, riuscirà a seccare anche il più pazzo dei pazzi, che lo fa innervosire con il dialogo che ho elencato in apertura di post, e per punizione verrà infilzato in un gigantesco amo, e spedito con posta raccomandata in un altoforno.
Più che la trama, merita un po' di attenzione il carattere di Silvestro.
In particolare, scopriamo presto cosa lo fa veramente incazzare: i giudici. Sono loro la vera causa del male negli USA. Sono loro che mandano fuori troppo presto dalle galere i criminali. Sono loro che non capiscono come stanno le cose nella vita reale. L'attacco alla magistratura di Sylvester dura dall'inizio alla fine del film. Mi ricorda giusto qualcuno. ;-)

sabato 9 febbraio 2008

Recensione: Sogni e delitti (2008)

Questa volta a scrivere una recensione è l'amico Mario. Facciamogli i complimenti per lo stile narrativo e la serietà con cui ha affrontato la stesura dell'opera.


Seguendo l'orma di Match point e di Scoop, Allen torna nella Londra fumosa che tanto ama, la capitale europea degli affari, che preferisce agli scenari delle metropoli statunitensi più adatti ad action o mafia movies.Il cast è per il 90% delle scene basato sul binomio Colin Farrell e Ewan Mc Gregor. I due sono due fratelli della piccola borghesia inglese. Farrell gestisce un'officina di auto, possibilmente d'epoca; Mc Gregor aiuta il padre nella gestione di un ristorante che sta colando a picco e da cui vorrebbe andarsene per investire i pochi risparmi in una partecipazione alla costruzione di hotel in california. E' il borghesuolo sognatore, a volte cinico ma di buon cuore, che ambisce a cicce della chioma fluente, dall'aspetto molto poco inglese, magari attrici, ma che certo ambiscono a tasche più piene delle sue; essendone consapevole, il buon biondino si fa prestare dal fratello le jaguar d'epoca che i pappa della zona gli portano per rimetterle a lucido. Farrell, peraltro, è un giocatore e uno scommettitore, e partecipa a tavoli di poker per cui già fatica a mettere il blind. E' senza denaro, ma la prima serata vince 30000 pounds ( 45 000 euro). Pochi giorni dopo però ne perde 90 000 e lì inizierà a sentirsi gli strozzini alle calcagna. Chiede i risparmi al fratello, che gli da un po' dei suoi risparmi rimpinguati dai furti che effettua al ristorante del padre. I due sono alla frutta: Mc Gregor deve mantenere uno standard di vita elevato per se e la sua nuova fiamma, una patatina mora niente male, che lo crede un pezzo grosso dell'edilizia mentre Farrell non sa come pagare i suoi debiti di gioco. Ma la bazza è in vista. Il loro zio materno, un chirurgo estetico che ha fatto fortuna in California e ogni tanto manda una busta di mancia alla loro famiglia, arriva in città. Appartatisi dopo pranzo, i due fratelli si rivolgono allo zietto per ricevere sostegno economico. Uno per i suoi sogni di grandezza, l'altro per ripagare gli strozzini. Il chirirgo si dimostra disponibile, ma a una condizione: ripagarlo con un favore molto più personale, pericoloso e immorale...
Allen con questo film è decisamente uscito allo scoperto, abbandonando gli aspetti più commerciali di Match Point: non vediamo più la Londra tutta lustrini, champagne e tennis clubs, ma i normali quartieri residenziali della city; inoltre il regista riesce a svincolarsi dall'idea della gnocca ispiratrice e protagonista (Scarlett Johansson), mettendo l'amore e le donne in secondo piano rispetto ai soldi, che sono la vera tentazione nel film. Gli attori si muovono bene; Farrell è l'ideale interprete di un meccanico timido, bevitore e ingenuo; Mc Gregor non ha una gran mimica facciale, ma il personaggio, raziocinante e british, non lo richiede più di tanto. La pellicola mostra i soliti riferimenti teatrali di Allen: le ambientazioni sono poche e le scene concentrate sui dialoghi dei protagonisti. Imperdibile qualche battuta di humour nero e qualche incontro equivoco, che trasudano la personalità di Allen a vista d'occhio. Il film non ha a che fare col fato o con la programmazione del delitto perfetto, tanto meno con indagini poliziesche. E' semplicemente un breve e neanche tanto intellettuale racconto del peccato per eccellenza, visto in chiave quasi biblica, ebraica, ma mai scivolante nel manicheismo puritano dei thriller d'oltre oceano. Male e bene non sono mai stati acerrimi nemici, e questo l'ironia di Allen lo fa capire. Semmai sono stati due categorie che hanno tormentato l'uomo nell'assegnare una connotazione morale alle proprie azioni, specialmente prima di compierle. Dopodicchè la verità si offusca, le menti pure, come i vincoli di sangue e il senso della propria esistenza. Da vedere.

martedì 5 febbraio 2008

Recensione: Uomini si nasce, poliziotti si muore (1976)


Se pensate che i film di oggi sono più volgari di quelli di 30 anni fa, probabilmente non avete visto questa perla di saggezza firmata da Ruggero Deodato.
Questo capolavoro appartiene al famoso genere poliziottesco tanto amato da Tarantino, e rispecchia apertamente il filone grazie a poliziotti con facce da modelli di Versace, donne nude che si eccitano solo a guardare i volti puliti di Lovelock e Porel, scene violente, e bastardaggine più che diffusa.
Siamo nella Roma dei traffici illeciti degli anni 70. Due rapinatori a bordo di una moto decidono di rapinare una donna appena uscita dalla banca. Questa, decisa a non mollare il suo prezioso carico, preferirà venire trascinata per la città eterna dai nostri, fin quando terminerà la sua corsa sfracellandosi il cranio contro un lampione. A quel punto, però, essendo rimasta attaccata ai soldi anche da morta, dovrà essere presa a calci in faccia da uno dei 2 balordi, che finalmente otterrà il prezioso bottino.
Per sfiga, sono presenti Lovelock e Porel, due poliziotti dai metodi non convenzionali appartenenti alla Squadra Speciale e che posseggono la licenza di uccidere, nonchè una buona dose di stronzaggine. Inizierà così un inseguimento che culminerà con un incidente pesissimo, in cui uno dei due rapinatori rimarrà ucciso, mentre l'altro, morente, passerà a miglior vita grazie a Porel che, a tradimento, gli tirerà il collo come una gallina. Tutto questo nella massima tranquillità. Davanti ai propri superiori, i due diranno "il mio è morto da solo", mentre Porel in tutta onestà affermerà "e al mio gli ho dato una mano".
Abbiamo già capito quindi che questo duo è formato da poliziotti molto speciali: bellissimi, freddi, sanguinari, e con un solo chiodo fisso in testa: le donne.
Volendo emulare Sean Connery, si presentano dalla loro Moneypenny con un vaso di fiori rubato dall'ufficio di fianco dicendo la quarta frase del film: "Con chi di noi scoperesti?".
Ci potremmo aspettare una sberla da parte della belloccia, che in realtà dimostra di essere alquanto disinibita, al punto da prendersi della "sporcacciona" dai due, che in fondo rispetto a lei sono più che integerrimi.
Seguiranno sangue, torbidume, scagnozzi, monnezza, e sparatorie, il tutto accompagnato da una colonna sonora incalzante e ben fatta. I due poliziottoni si divertiranno pertanto ad ammazzare criminali, dar fuoco ad auto di lusso, e bruciare vivi 2 poveretti che non c'entrano niente. Memorabile la frase pronunciata da Franco Citti: "E 'ttu 'Bbefana...nun ce l'hai da bere? Se non fosse che 'mmi servi, i' t'ammazzerebbi!". Vero, ********?