lunedì 19 maggio 2008

Recensione Ristorante: Asahi, Bologna

Come tutti sanno sono un amante del buon cibo, della cucina raffinata, antica o moderna che sia.
Ho purtroppo avuto la cattiva idea di recarmi in un ristorante pseudo-giapponese in cui ero stato un paio di anni fa: Asahi, situato in via don Sturzo, alla Croce di Casalecchio.
Due anni fa mi ero trovato davvero benissimo in questo posto, ed ero rimasto estasiato dalla freschezza dei materiali, dalla completezza dei menu, e dalla bravura del cuoco che si esibiva nel taglio e lancio a 2 metri della frittata con una maestria davvero impareggiabile. Una coreografia davvero da sogno animava il locale, dove il nostro Sandokan, armato di coltelli appesi in cintura, cucinava all'istante cose meravigliose, in un tripudio di colori, fantasia, e colpi di genio, facendo sprigionare fumi colorati quando gettava pozioni magiche sulla piastra bollente. L'altra sera, però, non è andata così.
Entro nel locale, e senza neanche avere il tempo di dire che avevo prenotato per due, già mi fanno sedere in un tavolo defilato, allontanando di 10 cm il tavolo a fianco, su cui si va immediatamente a sedere un'altra coppia.
Già da qui capisco che per tutta la serata dovrò sorbirmi i discorsi dei due, data la vicinanza, e loro dovranno pure ascoltare i miei. Mando giù il tutto e mi guardo intorno. La luce all'interno del locale è bassa. Non soffusa, ma bassa.
L'apprendista stregone che tanto mi aveva impressionato 2 anni prima non c'è. Al suo posto, 3 cinesi con cappellino da baseball si avvicendano ai fornelli, tirando fuori in fretta e furia scarti di pesce surgelato che viene schiaffato sulla piastra bollente, producendo una fumana ferale.
Arriva subito il cameriere, abbastanza gentile ma dall'aria unta. Ordino una barca di sushi e sashimi, e tortelloni alla piastra. Guardo la parete, e nell'atmosfera bisunta vedo una zanzara tigre ferma sulla parete alla mia destra.
Ha l'addome gonfio, segno che anche lei è stata ospite del ristorante, o meglio, è stata ospite di coloro che qui hanno banchettato. Le luci si fanno ancora più scure, e non capisco ancora il perchè. Nei miei ricordi il posto era luminoso e allegro.
Poi, sfortunatamente, capisco le motivazioni di tanta oscurità nella sala. E lo capisco a mie spese. Il cameriere mi porta la barca di sushi. Guardo dentro, e vedo il colore del pesce. Un colore malsano, sbiadito. Il salmone è rosino smorto e sa di marcio, altri pesci non ben identificati sono rosa trasparente, e trasudano un liquido davvero rivoltante. Quando afferro il gamberetto, dalla testa esce del liquido nerastro che va a sporcarmi il piatto. Il wasabi è più scuro e meno intenso di come dovrebbe essere. Orrore: il sushi non è fresco!
Non mi rassegno, dato che ho pagato 1 euro a pezzo di sushi, e comincio a mangiare. E subito mi prende la nausea.
Più sono nauseato, più mangio, per cercare di trovare qualcosa che mi faccia cambiare idea, ma niente da fare. Nel frattempo arrivano i tortelloni. 4 di numero, a 3,50 €. Considerando che al ristorante cinese ne mangio 8 allo stesso prezzo, comincio anche a sentirmi preso in giro. La nausea mi sopraffa, e per cercare di metterci una pezza sopra mi guardo intorno. Tante persone sembrano contente dello schifo nei loro piatti, o forse cercano di sembrare intenditori delle porcherie che hanno ordinato. Conversano amabilmente, succhiando la testa del gambero crudo con avidità. Lasciamo dentro la barca 2 pezzi di pesce dall'aria più malsana, e attendo l'arrivo del cameriere per sparecchiare il tavolo. Questo, arriva e fa: "Tu non mangi quello?". Se fossi stato un po' più carico, l'avrei costretto a mangiarlo davanti a me, a succhiare con avidità la gelatina di batteri che usciva da quella crudità, pescata sicuramente settimane fa, e venduta a 1 € al pezzo a noi stupidi idioti.
Mi alzo, imbestialito e con lo stomaco sottosopra e vado alla cassa. Il conto è di 27 € a testa per aver mangiato robaccia sulla via della decomposizione.
Non viene emessa alcuna fattura fiscale, e pertanto me ne vado ancora più incazzato. Porgo i miei più distinti saluti ad Asahi e al suo staff, che ha capito come fare i soldi in Italia, evadendo le tasse e dando da mangiare porcherie ai propri clienti. Sicuro che non mi rivedranno mai più nel loro locale, li saluto cordialmente. Burp!

giovedì 8 maggio 2008

Recensione: Racconti da Stoccolma (When Darkness falls, 2006)

Solita dimostrazione di come noi italiani siamo bravi a tradurre (e sminuire) i titoli originali. "Quando cala l'oscurità", così lo chiameremo, è un film che parla di violenza in modo a mio avviso intelligente. Parte bene, continua meglio, e finisce in un modo non all'altezza. Ma andiamo con ordine, elencando le storie di cui questo film è composto: Leyla, ragazza pakosvedish, è considerata la vergogna della famiglia a causa dei ragazzi che frequenta. Aram, mascellone che ama fare lo splendido col Q7, gestisce un locale fighetto che viene preso di mira da una banda di criminali pagliacci. Carina, telegiornalista di successo, subisce le violenze del marito, pazzo psicolabile che gode pure della stima di tutti i colleghi della moglie. Queste storie si sviluppano parallelamente per quasi tutto il film senza scadere nel muccinismo, nell'haggismo, e nel più terraterra perbenismo. Il montaggio è realizzato davvero bene, e gli attori sono piuttosto bravi, a parte X che ho trovato davvero penoso. Dopo Evil - Il Ribelle, la Svezia ci propone un film intriso di violenza fisica e psicologica, con una colonna sonora fredda e martellante che contribuisce a tenere sveglia la gente in sala per 2 ore e 10 minuti. E non è cosa da poco.
Purtroppo però, dopo un buon 95% di film che faceva gridare al miracolo, scade tutto nel finale. I protagonisti delle 3 storie si ritrovano per caso all'aeroporto, partono, e i loro 3 aerei si incrociano, facendo venire in mente quella grossissima buffonata di Crash, esempio tipico di haggismo. Per di più, la colonna sonora dei titoli di coda è allegra, divertente, totalmente diversa da quella sentita durante il film. Il che, purtroppo, stona tantissimo, perchè fa sminuire quanto di serio si è visto poco prima, e lo riduce a una buffonata.
Tirando le conclusioni, che dire? Sicuramente i buoni propositi ci sono, la mano del regista pure, la storia anche, peccato per l'hollywoodismo più becero alla fine. Voto: 7.