giovedì 27 marzo 2008

Recensione: Il Petroliere (There will be blood), 2007


Approfittando del cinema a 1 € in occasione della settimana della cultura ho deciso di investire una frazione delle mie finanze per il nuovo film di Paul Thomas Anderson, che come tutti sanno è uno dei miei registi preferiti (e se non l'avete fatto, guardatevi Boogie Nights, Magnolia, e Ubriaco d'amore, tutti di questo regista).

Arrivato al cinema, dopo aver quasi scardinato la porta a vetri cercando di entrare (il cinema era ancora chiuso), mi sono subito trovato a dover lottare con nobildonne over 65 che non solo mi hanno chiesto cortesemente di spostarmi, in quanto io troppo alto, ma mentre il film iniziava conversavano amabilmente di creme per sgonfiare le gambe, Lasonil, e fasciature per i piedi.
Dopo averle messe a tacere, ho iniziato a godermi il film. L'orrendo titolo italiano dice già molto su quello che stava per essere proiettato, ma non racconta (per fortuna) la stupenda fotografia, la superba musica, e l'atmosfera di altri tempi di questo film.
Daniel Plainview (Lewis) è un cercatore di petrolio. Gira per gli acri californiani di inizio '900 a caccia di oro nero, e con le prime macchine rudimentali per l'estrazione mette in piedi un'impresa che lo farà diventare milionario. Questa è la trama di base, sulla quale si snodano alcuni temi fondanti che non svelerò a voi cari lettori, visto che questo film, della durata di 154 minuti, ve lo dovete sorbire tutto dall'inizio alla fine. Possibilmente senza la"sweet 65" che avevo seduta davanti a me, che commentava ad alta voce il suo totale schifo per la musica, cupa, dai toni luguri. In realtà non aveva capito che la musica è volutamente disturbante e parte fondamentale di questo film. Non è infatti sempre vero che la musica non deve influenzare lo spettatore, dipende da film a film.
Potrei citare la bravura di Daniel Day Lewis, che avevo lasciato con l'Oscar in mano per Il mio piede sinistro, ma nonostante la sua grande dimestichezza con la recitazione, ho riconosciuto un po' troppo i tratti del suo ultimo personaggio di successo, Bill Cutting di Gangs of New York.
Pertanto, con il sospetto che Daniel sia rimasto troppo attaccato a quel personaggio, su di lui metto un bel punto interrogativo, e non aggiungo altro. Lo lascio pertanto su IMDB.com dove lo potete ammirare con un completo scozzese e 2 splendide anelle da pirata agli orecchi destro e sinistro, come è solito presentarsi agli appuntamenti importanti.
Al solito, la regia di P.T. Anderson non delude. Abile a muovere la macchina da presa, già da tempo ha abbandonato i suoi tipici film corali per dedicarsi a opere meno complicate ma ugualmente profonde. Bene così.
Paul Dano non mi ha particolarmente entusiasmato, come non mi aveva entusiasmato in Little Miss Sunshine. A mio avviso non recita, fa il suo numero e basta, ma per stendere un commento su di lui dovrei sentirlo nella sua lingua originale.
Nel complesso, malgrado questi punti interrogativi da me evidenziati, posso dire di essere rimasto soddisfatto di questo film, che mi ha sorpreso per la storia coraggiosa e ben girata, le ambientazioni ben ricostruite e meditate, e per aver scoperto che "quando si hanno le nocette nei piedi non bisogna usare le creme, perchè non servono a nulla. Basta andare dal dottore che ho sotto casa, che è bravissimo. Te lo consiglio. Ah, il film è già cominciato"

martedì 4 marzo 2008

Recensione: John Rambo (2008)


Un capolavoro assoluto. Una bibbia del cinema di tensione e azione. Chi l'ha definito splatter, non ha capito niente, o forse non ha mai visto uno splatter.
Sono andato a vederlo ieri sera, al Capitol, spettacolo delle 20 30. Ad attendermi, un branco di ragazzetti sbreghini, che commentavano a voce alta ogni singola scena del film. Male per loro, perchè all'intervallo mi è toccato alzarmi, gonfiare i quadricipiti, impostare lo sguardo sulla modalità Security, e avvisarli di non ripetere il sacrilegio che avevano compiuto nella prima mezz'ora di film.
John Rambo è un film da vedere in religioso silenzio, per capire, per accumulare rabbia, violenza, ed emozione, e scaricarla sulle spalle possenti di Sly Stallone al momento giusto.
Troviamo il nostro eroe in Birmania, solitario e intento nella caccia dei cobra. Rambo è un guerriero stanco, e il passato lo divora giorno dopo giorno. E' un uomo altruista. Pesca usando arco e frecce, e dona il pescato ai bambini poveri. E' rimasto una vera e propria montagna d'uomo, con lo sguardo che dice più di mille parole.
Ma la sete di sangue e violenza, che tenta di reprimere, tornerà fuori presto, quando una missione umanitaria di sfigati arriverà al suo cospetto, pregandolo di guidarli lungo il pericoloso fiume birmano al fine di raggiungere villaggi dove un esercito sanguinario e meschino sta compiendo violenze di ogni tipo. E Rambo, dopo una prima titubanza iniziale, accetta.
Da questo momento in poi, comincerà la sfilza dei morti, in un crescendo di tensione e violenza che solo il nostro poteva creare, grazie a una regia movimentata, con scene spesso non perfettamente a fuoco, che i più addosseranno all'inesperienza di Stallone alla regia, ma che in realtà sono volute dal nostro eroe per sottolineare il caos e lo stato d'animo che si provano in questi luoghi.
Nonostante gli anni che passano, Rambo non ha disimparato l'uso delle armi. Anzi, ha affinato la sua arte pure nella tempra dei metalli, creando il business "Acciaierie Sly" in Birmania.
L'arco, il coltello, il mitragliatore, la bomba H. Sono le 4 armi da sempre predilette da Rambo. L'arco viene usato alla stregua di un fucile di precisione, per lavori puliti e ordinati. Il mitragliatore è per fare piazza pulita quando il grado di cattiveria dei suoi nemici è più o meno eguale, e va ricompensato al suono delle sole pallottole. Il coltello è l'arma che il nostro riserva a capi di esercito e sanguinari: con esso, le gole e le pance assumono la consistenza di burro caldo. E la bomba H, portatile, serve per disboscare gente in breve tempo.
Uscendo dal cinema con le lacrime agli occhi, ho giurato fedeltà a John Rambo. Se ha bisogno di qualcosa da me, sappia che sono anche io disposto a morire per qualcosa, piuttosto che vivere per nulla. E ora, Standing Ovation.