domenica 14 dicembre 2008

Recensione: Into the wild (2008)


Prima che si scateni un altro putiferio come per August Rush, dico subito che per questo film vado controcorrente con coscienza e cognizione di causa.
Tutto quello che scriverò è pensato, ideato, ragionato dal sottoscritto, e probabilmente tutti coloro che leggeranno questo post si troveranno in totale disaccordo con me. Amen.
Ho visto ieri pomeriggio questo film, durato circa 2 ore e 20 minuti, in camera mia. Non avevo preoccupazioni, ero rilassato, e fortemente ottimista su quanto stavo per vedere, dopo le lusinghiere recensioni che tanti critici importanti gli hanno riservato. Purtroppo, però, il mio ottimismo è presto scemato. Ma andiamo con ordine.
Il film narra la storia (vera) di un giovane americano benestante che abbandona la sua famiglia, la sua carriera universitaria e la sua vita "normale" per scoprire sè stesso attraverso un viaggio che lo porta a girare per gli Stati Uniti e a vedere posti splendidi e indimenticabili. Niente soldi, niente auto, niente di niente, a parte i vestiti. Di per sè, una cosa del genere l'ho sempre sognata di fare anche io, e questo forse ha contribuito all'ottimismo iniziale.
Un padre violento, un'infanzia tristemente infelice, una vita fatta piena di cose ma senza essenza: queste sono le cause che spingono il giovane Alexander Supertramp a partire. E questi sono spunti su cui è possibile fare un buon film, apprezzato infatti dai più.
In realtà non ho affatto gradito il montaggio che Sean Penn ha commissionato, fatto di continui flashback, a mio avviso inutili e irritanti. Anzichè seguire un andamento lineare nel tempo, il film inizia con scene che si ricollegano al finale, per poi tornare all'inizio, poi andare ancora di più verso la fine, per poi andare ancora prima dell'inizio, e così via. Il tutto per 2 ore abbondanti. La cosa è apparsa almeno al sottoscritto estremamente noiosa e, lo ripeto, anche irritante.
Secondo punto da evidenziare: il film a mio avviso parte troppo lento, per poi migliorare sensibilmente dopo la metà, e concludersi con un finale mediocre. La prima ora è assolutamente devastante, fatta di scenari sì stupendi, ma che non bastano a rendere bello un film per un pubblico esigente. Al massimo lo rendono bello a chi considerà Che ne sarà di noi un capolavoro perchè ha rivisto i paesaggi di Santorini dopo esserci stato in vacanza.
La seconda metà del film invece prende una piega molto diversa. Entrano in gioco emozioni più forti, il ritmo migliora, e il film riesce a vedersi più che bene.
I dialoghi sono purtroppo ripetitivi, la noia sale parecchio e spesso si sente la mancanza di un filo logico (grazie anche ai flashback che certo non aiutano a sentirsi a proprio agio).
Insomma, a mio modestissimo parere, un film su cui si poteva fare molto di più, inquadrando qualche paesaggio in meno, e puntando più su un montaggio migliore e una sceneggiatura più limata, accorciando inoltre la durata (2 ore e 20 sono troppe per un film a mezza via tra il poetico, il naturalistico, e il veggente).
Voto finale: 5/6.


sabato 13 dicembre 2008

Recensione: Nuovomondo (2006)

Raramente mi capita di dare un 9 a un film su IMDB. Ma questo è una di quelle volte in cui lo do volentieri, a cuor leggero. Nuovomondo è un piccolo capolavoro del cinema italiano, come non se ne vedevano da anni. E' un film che ho da subito definito "caravaggesco", narrato splendidamente, con una fotografia da paura, attori bravissimi, un regista ottimo e una storia semplice ma ricca di emozioni.
I personaggi siciliani protagonisti della storia possono rispecchiare a mio avviso l'intera nazione, con le loro credenze, i sogni, l'ingenuità, la simpatia, l'arroganza, e la genuinità di un popolo che ha le sue fondamenta nella pastorizia. Il tutto ritratto con quella perfezione e quella lucidità che da tempo cercavo in un film.
Azzardata ma azzeccata in pieno a mio avviso tutta la parte onirica che a intervalli regolari interviene sapientemente, richiamando nel sottoscritto scene di felliniana memoria.
Una scena sola non mi è piaciutà granchè, e precisamente quella dell'interno della nave durante la tempesta. Purtroppo, a mio modesto parere, è venuta decisamente male e rende male l'idea. Forse, con qualche soldo in più, si sarebbe potuto fare di meglio.
Sono stato molto stupito di vedere che la media dei voti di IMDB è solo 6.9/10. Meritava a mio avviso molto di più. Il motivo, però, forse sta nel fatto che difficilmente uno spettatore non italiano può comprendere pienamente la natura dei personaggi. Proprio questo particolare è evidente nel film stesso, quando la bravissima Aurora Quattrocchi viene sottoposta ai test dalle autorità statunitensi (di più, purtroppo, non posso rivelare).
Considero pertanto questo film come un lungometraggio purtroppo pienamente apprezzabile solo da chi ha vissuto in Italia e ha avuto a che fare con un certo popolo italiano, quello con la p minuscola. Lo dico e lo ripeto: un vero capolavoro.

sabato 8 novembre 2008

La vera sfida di Barack Obama

Non ho amato da subito il grande entusiasmo di Barack Obama così come non ho amato ile posizioni di John McCain. Eppure, oggi, mi sento sicuro su chi fosse realmente il candidato migliore per il sottoscritto.
Per capirlo, ho dovuto aspettare di arrivare agli ultimi giorni di campagna elettorale, di seguire con trepidante attesa l'evolversi delle vicende politiche che segneranno i prossimi 4 anni di vita del nostro pianeta terra.
E' errato a mio avviso valutare un candidato un anno e mezzo prima del voto, e mantenere la propria scelta in barba all'evolversi delle vicende, solo per iniziali simpatie. Così come è errato votare sempre e solo per il candidato presentato dal proprio schieramento politico, senza valutarlo per quanto ha fatto in passato e per come conduce il suo passpartout: la campagna elettorale.
Questo malcostume lo abbiamo da sempre sotto gli occhi in casa nostra, dato che sappiamo tutti che gli italiani sono un popolo prevalentemente fascista che ha votato Silvio Berlusconi in buona parte "per non dare i voti ai comunisti".
Davanti a questa primitiva forma amebica di democrazia e di intelligenza, non si può fare a meno di inginocchiarsi, togliersi il cappello, e cercare di tenere a freno la rabbia e lo sconforto.
Tra i due candidati alla Casa Bianca, sicuramente John McCain era il più populista. Attenzione, si tratta di populismo nel senso berlusconiano del termine!
Questo tipo di populismo si è rivelato in tutta la sua losca natura nelle ultime settimane di campagna elettorale, e ha compreso messaggi televisivi di disinformazione, screditamento dell'avversario, gaffe, e assoluta incapacità di condurre una campagna leale.
Quello stesso modus operandi che anche in Italia negli ultimi anni si è consumato più volte. In aggiunta a ciò, una candidata alla vicepresidenza che non sapeva neppure che l'Africa fosse un continente, che era a tal punto contro l'aborto da volerlo impedire anche alle vittime di stupro, e che era così ignorante da gettare ombra su quanto di buono ci fosse nelle intenzioni di John McCain.
C'è un video elettorale che gira in rete, in cui John McCain pronuncia un messaggio che più o meno dice così: "Ho servito il mio paese come soldato in Vietnam; per questo non c'è nessuno migliore di me per combattere il terrorismo".
Questa è la stessa equazione di Maxwell-Carfagna: ho fatto le marchette per anni, non c'è nessuno migliore di me per combattere la prostituzione". E non è altro che un penoso messaggio di stampo populista, come ce ne sono stati tanti in questi mesi.
Il "Yes, we can", di Barack Obama ha in sè qualcosa di più sobrio. Ha in sè il concetto di "Dream", che per un nero negli USA ha una sua legittimità forte e radicata. In questo caso non si tratta di populismo, si tratta di idealismo e utopia che per una volta nella storia qualche giorno fa si sono trasformate in realtà.
Ma c'è stata una cosa in più che a tanti è sfuggita qui in Italia, ma che in America è stata a mio avviso la carta vincente di Obama: la questione energetica.
Nonostante tutti mettano la crisi economica internazionale al primo posto delle preoccupazioni attuali, i cambiamenti climatici e il costo del greggio sono temi che sono diventati cari a moltissimi americani, in barba alla politica di George W. Bush che ha legato gli Stati Uniti e il mondo intero al petrolio sempre di più in questi anni, alla faccia di un agognato e razionale buon senso che avrebbe voluto l'opposto.
Non è un caso se le vendite della Toyota Prius negli USA hanno superato quelle dei SUV. Non è un caso se i recenti aumenti del costo del petrolio e la primavera a gennaio a New York hanno spaventato la gente in un modo imprevisto dalle logiche neocon.
C'è poco da fare. McCain è legato indissolubilmente all'oro nero, così come da sempre lo è il suo partito, e i suoi timidi tentativi di "cercare ancora gas naturale sul territorio" e di "investire nelle fonti per l'energia alternativa" non sono bastati agli americani.
Ieri Barack Obama ha annunciato di voler ridurre le emissioni di CO2 dell'80% entro il 2050, spingendosi più in là persino di quel protocollo di Kyoto del 1997 che gli USA non hanno mai ratificato.
Sono queste le scelte coraggiose che il neo Green Party americano vuole, e sono queste le scelte che incentivano l'industria a innovarsi, e il progresso ad accelerare i suoi passi verso un futuro in cui l'energia possa essere rinnovabile e non debba essere acquisita tramite guerre preventive.
La vera sfida di Barack Obama sarà pertanto quella di destreggiarsi tra le lobby che controllano da sempre la politica americana per mettere in atto quanto ha promesso ai suoi elettori. Sarà questo il vero "Change" di cui il mondo adesso ha estrema necessità, sarà questa la vera "mission :impossible" che fino a poche ore fa era ancora più utopica di un presidente nero alla Casa Bianca.
Ma come lo stesso Obama ha detto, "Nulla è impossibile in questo paese". E penso proprio, caro Barack, che hai davvero ragione. Buona fortuna.

giovedì 16 ottobre 2008

Recensione: Jumper (2008)

Ieri sera per cercare di dimenticare i componenti lineari dei circuiti ho deciso di rilassarmi guardandomi Jumper, film di cui avevo sentito parlare alcuni mesi fa. Dando un'occhiata al cast, ho subito capito di che pasta sarebbe stata fatta il film, grazie alla presenza di Samuel L. Jackson, che in 36 anni di carriera e 117 film all'attivo ha partecipato solo a 2 lungometraggi decenti. Pertanto, per la teoria delle probabilità, avevo escluso a priori che questo fosse il 3° bel film della carriera di Samuel.
E difatti, già al 4° minuto di proiezione, dopo aver già visto 2 pubblicità occulte di Carhart e Nokia e aver sentito il protagonista che dice "Una volta ero un ragazzo normale, un imbranato, come voi", ho compreso l'opinione che gli sceneggiatori avevano di me e del pubblico quando hanno scritto questo film sui rotoli di carta igienica.
Il film narra la storia di un deficiente con seri problemi corpontamentali che scopre di potersi teletrasportare ovunque desideri, con la preferenza particolare per i caveau delle banche. A fermare il teppista ci penserà Jackson, capo dei bigottissimi Paladini, che hanno come unica ragione di vita quella di eliminare i jumper dalla faccia della terra.
Le scene pecorecce girate a Roma sono alla pari di quelle che J.J. Abrams ha girato nella capitale per Mission Impossible 3, con tanto di carabinieri con pistola spianata, Taxi con l'insegna RadioBruno, e così via.
Il film è stato pubblicizzato come il nuovo Matrix. Non commento neanche questa affermazione patetica. Spesso sembra pure di vedere The Bourne Identity, segno che Doug Liman da quel film è rimasto così schockato da riproporlo in eterno con titoli diversi.
Dialoghi melensi e inutili, tanta azione, attori giovani e pietosi. e ogni tanto qualche scena violenta e altrettanto inutile. Che altro poter dire? Sconsigliato.

mercoledì 27 agosto 2008

Recensione: In questo mondo libero (It's a free world, 2006)


Ci risiamo. Ancora un capolavoro. Non bastava aver fatto opere maestose. Bisognava ripetersi. Questa volta Ken Loach va a esplorare un terreno quanto mai minato, perchè riguarda Boz da vicino.

E' il terreno del lavoro temporaneo. Un ambiente fatto da pseudoprofessionisti con alle spalle miseria e tristezza che diventano burattinai di uomini e donne (perlopiù stranieri irregolari) pronti a esser sottopagati pur di avere un po' di pane sotto ai denti.
Questo tipo di lavoro altamente redditizio, e allo stesso tempo moralmente squallido, porterà la protagonista del film, una delle streghette britanniche che io e Mario avevamo già classificato, a una serie di problemi con cui dovrà misurarsi, scegliendo, alla fine, una strada apparentemente facile.
Guardando questo film sembra che Loach sia davvero stato in una delle agenzie per cui ho lavorato. E' incredibile come sia riuscito a capire la realtà che sta dietro non solo agli sfruttati, ma anche agli sfruttatori, che nella maggioranza dei casi sono ex persone umili, con diversi problemi in famiglia, che non si fanno scrupoli pur di poter emergere nella scala sociale a scapito dei loro simili. E' proprio questa attenta analisi che fa di questo film una piccola perla da vedere assolutamente. Soprattutto, se almeno una volta nella vita, siete stati (sotto)pagati 5 Euro l'ora.

martedì 12 agosto 2008

Recensione: American Yakuza (1993)

L'altro giorno stavo vagando per supermercati alla ricerca di un film, quando ad un tratto, l'occhio mi è balzato sul cofanetto di American Yakuza - Special Edition in 2 dvd. Stupito dal vedere il faccione di Viggo sulla copertina, mi sono chiesto come mai questo film (che già sapevo essere imperdibile) mi era sfuggito. E ho trovato subito la risposta: questo film ha la belleza adi 15 anni sulle spalle, e nel '93 ero ancora poco interessato alle sale cinematografiche.
Deciso a recensirlo il prima possibile, sono corso a casa di gran fretta, e subito è partito lo spettacolo.
Uno straordinario Viggo, non ancora ostaggio di Cronenberg, recita nel ruolo del poliziotto infiltrato nella Yakuza. Con il suo charme,il capello lunghino e la basetta triangolare, riesce a guadagnarsi la stima e l'affetto della famiglia, che si fida ciecamente di lui, non sapendo che in realtà è tatuato FBI proprio sul cuore. Al momento di scegliere da che parte stare, però, il nostro eroe dovrà vedersela con la sua coscienza, e scatenerà la sua rabbia sui suoi nemici più acerrimi, i componenti del clan mafioso dei Campanela, che nel film però misteriosamente vengono chiamati Campanella con 2 elle.
La regia del famosissimo e sempre in gamba Frank Cappello è vivace e lucida, molto meglio di quei registi da 3 lire che vanno di moda oggi come J.J. Abrams, dinanzi ai cui film sono sempre costretto ad assumere un antiemetico, onde evitare di rigettare la cena durante gli inseguimenti girati con una telecamera lanciata ai 200 km orari su uno smorzatore di vibrazioni immerso in un terreno terremotato (con 10 di magnitudo su scala Richter, ovviamente) .
Non spendo ulteriori parole su Viggo, sempre in formissima, con la faccia esente da rughe e lo sguardo di chi sa come schivare i proiettili saltando tra file di bancali, e buttandosi a terra con salti leprotteschi senza farsi neppure un graffietto.
Nei titoli di coda, ho pure intravisto il nome del grande Al Goto, che già ben conoscevamo da altri 2 capolavori come Black Rain e Duro da Uccidere.
Insomma, un filmone da non perdere per gli appassionati del genere. Dimenticavo: non guardate troppo la recitazione: diversamente potrebbero servire ugualmente gli antiemetici.

domenica 3 agosto 2008

Recensione: Il vento che accarezza l'erba (The wind that shakes the barley, 2006)

The wind that shakes the barley è sicuramente il miglior film che ho avuto modo di vedere negli ultimi 6 mesi: Palma d'oro a Cannes nel 2006, vincitore di numerosi premi, e piccola grande perla in questo cinema manierista e senza inventiva.
Devo ammettere che mi era sfuggito. E ciò è abbastanza grave.
Lascio a voi la trama. Ma non vi lascio il commento sulla grande poesia che Loach riesce a trasmettere fin da subito. La storia è narrata magistralmente, senza fretta, e senza lasciare nulla al caso. Sotto il fuoco della cinepresa tanta carne e tanta umanità che si viene a scontrare nell'orrore di due singole guerre civili.
E la mente ritorna indietro nel tempo, perchè il realismo c'è, e almeno nel mio caso, la memoria storica anche.
Gli attori, tutti irlandesi, svolgono con sapienza e umiltà l'arduo compito di vestire i panni di tutti coloro che prima di loro hanno combattuto per la propria terra, e sono stati costretti a legittimare l'odio e la violenza in nome di una libertà che per ognuno aveva un aspetto diverso. Un film triste, tristissimo, violento più psicologicamente che visivamente, ma estremamente serio e profondo.
Loach non giudica, non prende le parti di nessuno, ma mostra come la guerra sia in grado di sconvolgere ogni rapporto umano. E lo fa con una freddezza tale da far scendere la lacrima sul finale. E lo scroscio di applausi.

martedì 29 luglio 2008

Recensione: Cannibal Holocaust (1980)


Per movimentare un po' la serata ho scelto di dare un occhio a Cannibal Holocaust, film che fece e continua a fare molto scalpore, a causa delle sue scene violente e toccanti.

E devo dire che anche a distanza di quasi 30 anni, il film è estremamente attuale e mi ha fatto riflettere parecchio.
La storia è ormai nota. Un professore della Columbia University parte per la foresta Amazzonica al fine di recuperare il video girato da quattro suoi studenti avventurieri e matti come cavalli. Il professore viene a contatto con popolazioni cannibali, e riesce nell'intento di ottenere dai selvaggi il prezioso nastro. Tornato in patria, guarderà il filmato, e rimarrà a bocca aperta.
Non si tratta di un horror, no. Si tratta di una palese critica alla società, mascherata (piuttosto malamente, visto che le intenzioni sono chiarissime) da film finto-snuff, con uccisioni in diretta di animali veri (un topazzo, una grossa tartaruga, un maialino e scimmie prese a colpi secchi di macete in testa), e scene di cannibalismo e torture dal gusto tipicamente deodatiano. Secondo Deodato, e anche secondo me, siamo noi alla fine i veri cannibali, siamo noi quelli che chiediamo i soldi indietro a Gardaland se un'attrazione è chiusa a causa di un incidente mortale. Siamo noi quelli che fanno di tutto per i soldi e il successo, calpestando tutti coloro che ci stanno attorno, e mettendo da parte ogni parvenza di umanità.
Ottime le musiche di Riz Ortolani, che al solito è riuscito a creare una bella colonna sonora per un film che difficilmente si scorda.
Una nota particolare va rivolta a Luca Barbareschi che, non ancora militante di AN, e non avendo condotto ancora quel quiz bastardo di nome Greed, si esibisce nella parte di un giovane cameramen avvezzo a uccidere a colpi di ascia o di fucile una piccola serie di animali indifesi. E' proprio il caso di dirlo: come squarta la tartaruga Barbareschi, non la squarta nessuno!

giovedì 17 luglio 2008

Recensione: Tropa de Elite (2007)

Ebbene sì, ancora una volta sono costretto ad andare controcorrente. In tanti, forse in troppi mi avevano parlato bene di Tropa de Elite, film che è uscito il mese scorso al cinema, dello stesso autore di City of God,.
Tutti coloro a cui è piaciuto non hanno però visto City of God, che è un film di tutt'altra pasta. Tropa de Elite è un film ugualmente violento, girato nello stesso stile del precedente, con una fotografia che sovrassatura i colori e una telecamera al centro dell'azione.
Il protagonista è il sosia brasiliano di Nacho Vidal: un fascista psicopatico impasticcato e pluristressato che deve trovare un sostituto alla sua squadra d'eccellenza di poliziottoni duri e puri. E al solito, con lui s'intreccerà tutta una vicenda di sangue, morte, e violenza gratuita, che piacerà molto ai tarantiniani.

Citta di Dio era un film poetico, che si costruiva minuto dopo minuto, narrato bene e con una violenza pienamente funzionale alla scena. Questo sembra una brutta copia vista con gli occhi di Nacho Vidal in veste da poliziotto. Mancava solo Siffredi, e forse veniva fuori qualcosa di meglio. Tanti, troppi i tratti comuni: il narratore fuori scena che è protagonista sulla scena, lo stile del regista (scopiazzato, visto che il director è diverso), le battute. Hanno copiato tutto dalla A alla Z. Anche la figura di Zepequeno.


E' un film già visto, scopiazzato qua e là da S.W.A.T, e che non ha niente a che spartire con City of God, perla di originalità e freschezza che ha risollevato il cinema sudamericano.
Questo film non ha storia, non dice niente, finisce alla carlona. E nei titoli di coda musica allegra e fuori luogo, cosa che come ben sapete detesto.
Non sono molto contento di quanto ho visto, soprattutto per come è stato gestito il lancio del film. Piacerà agli amanti dei blockbuster che non hanno visto il film paragonato a questo (che non cito per rispetto), e a tutti coloro senza memoria, che vedono un film e il giorno dopo non si ricordano più nulla di esso, e pensano che questa sia roba originale.
Non essendoci la produzione di Arnon Milchan, si becca 5 1/2. E ringrazi ;-).

domenica 6 luglio 2008

Recensione: La notte non aspetta (Street Kings, 2008)

Ieri sera sono tornato dopo un mesetto al cinema. E sono andato a colpo sicuro puntando sul nuovo blockbuster della Fox che vede protagonisti il grande Keanu, ancora reduce da Matrix, e Forest Whitaker, che pur ricoprendo un ruolo serio riesce sempre a sparare per contratto le sue solite battutacce a sfondo razzista. Street Kings, alias La notte non aspetta è un film che abbiamo tutti già visto e rivisto in passato. Si chiamava Copland, poi si è chiamato Training Day, poi si è chiamato The Departed. E in mezzo potete metterci buona parte della filmografia di Steven Seagal.

La storia riguarda poliziotti corrotti tra cui svetta Keanu, perennemente alcolizzato di wodka, e malgrado ciò perfetto cecchino in ogni occasione. Sono 10 anni che ha girato Matrix, e ancora ha la stessa faccia da ebete di Neo, parla di mondo reale, e ha sempre bisogno di aprire gli occhi. Questa volta però ad aiutarlo non ci sarà Morpheus, ma Doctor House in persona. Memorabili le frasi con cui Keanu si presenta al grande pubblico. Parlando con un coreano, e scambiandolo per sbaglio per un giapponese, per scusarsi gli dice "hai gli occhi come 2 apostrofi, vesti come un bianco, parli come un nero, e guidi come un ebreo!". Già da qui capiamo chi vota.
Il linguaggio cresce sempre di più per raffinatezza e splendore, spaziando dalle battute su chi muore seduto sul cesso fino all'oramai celebre paragone tra gli sbirri e le erbacce.
Condito dall'umorismo di Whitaker, che sguazza a suo agio nel suo ruolo semiserio di potente, il film riesce a passare abbastanza in fretta, facendo divertire la sala non tanto per i temi trattati, ma per lo sfottò generale che si è venuto a creare tra i tanti appassionati di film d'azione schierati in prima linea.
Più che un film a tratti sembra un videogioco. Una Los Angeles corrotta su cui la notte cala vuole essere uno sfondo per ambientare una storiaccia, ma in realtà non è così. Il regista si limita solo a inquadrare grattacieli e il cielo al tramonto, ma ciò è troppo poco per dare l'impressione che una storia girata negli studios avvenga in mezzo a L.A. Gli effetti speciali sono stati bene usati per ricreare squartamenti e uccisioni particolarmente violente. Non male la scena in cui Reeves arpiona con un amo la bocca del suo collega, e dopo qualche ora gli pianta un'ascia in testa.
Sul finale, già visto almeno in Miami Vice e in Collateral, entrambi di Michael Mann, pensavo di dover dare un giudizio negativo al film. Invece no.
Nei titoli di coda ho visto difatti scorrere il nome di Arnon Milchan, noto produttore del film Trappola in alto mare, premio Oscar del 1992 per la colonna sonora, con interprete Steven Seagal. E data questa presenza storica, il film si becchi un bel 6. E ringrazi.

venerdì 20 giugno 2008

Recensione: Funny Games (1997)

Un lettore di questo blog, tale The Crux, mi ha segnalato questa perlina austriaca di più di 10 anni fa. Si tratta di Funny Games, di Michael Haneke, che ha deciso quest'anno di girare il remale di questo film negli States. Per la cronaca, uscirà il prossimo mese in Italia.
Il primo Funny Games, che andrò a recensire, è un film che mi ha in buona parte deliziato, anche se al solito, presenta qualche pecca, per fortuna di scarsissima entità.
La storia l'abbiamo vista già più volte in passato: in Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick, in La casa sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato, e in almeno una decina di altri film: un gruppetto di pazzi psicopatici si introduce in una casa più o meno isolata per sconvolgere la vita di una benestante famiglia.
Sotto una serie di games poco "funny" e molto bastardi, i 2 matti Tom e Jerry daranno filo da torcere a Ulrich Mühe (r.i.p.) e a sua moglie (anche nella vita reale) Susanne Lothar. Ne esce un film crudele, visionario, oserei dire pirandelliano.
I 2 psicopatici sono in realtà la voce attiva del regista, si rivolgono al pubblico in più occasioni e svelano il pensiero di Haneke, che mette in scena un thriller davvero molto pesante sul piano psicologico. Aiutato da piani sequenza con telecamera immobile per una durata che sfiora anche il quarto d'ora, l'austriaco ha capito bene come stuzzicare il pubblico, e come farlo divertire grazie alla cattiveria esemplare di Tom & Jerry. Gli attori, Mühe in primis, sono davvero eccezionali. La loro impronta teatrale è palese, e ben si sposa con una sceneggiatura che prevede colpi di teatro e surrealismi più appartenti a un palcoscenico che a un set cinematografico.
Una delle pecche di questo film è forse quella di essere arrivato un po' tardi rispetto ai suoi predecessori. In tanti abbiamo visto già molti "funny games" negli anni passati, e a prima vista non abbiamo notato grosse differenze con quanto conoscevamo. In realtà non è proprio così. Questo film ha un tocco di originalità fortissimo e riesce a elevare le emozioni dello spettatore in modo intelligente e diabolico. Pertanto, lo consiglio a tutti. Anche ai nemici tarantiniani.

sabato 14 giugno 2008

Recensione: eXistenZ (1999)

Per una volta, una recensione seria. Nel 1999, anno in cui Matrix ha sconvolto la vita di tante persone, è uscito questo bellissimo film di David Cronenberg, destinato ad un pubblico maturo, ma non necessariamente adulto. Questo film si chiama ExistenZ, e da poco è entrato a far parte della mia collezione.
Vivendo nell'era della Wii e dell'Ipod, penso di capire ancora meglio un film che forse 10 anni fa mi avrebbe lasciato alquanto perplesso.
Veniamo a noi: In un futuro molto vicino, le forme di intrattenimento per l'uomo si sono evolute. Incrociando creature anfibie mutanti, e sezionandole in modo mirato, le aziende di videogiochi riescono a creare una sorta di cervello biologico che si collega alla spina dorsale di ogni persona per farla vivere dentro il videogioco stesso. Questa orrida protuberanza funziona grazie all'elettricità del corpo umano, e su di essa si possono scaricare i giochi wireless. E giocare in multiplayer (vi ricorda qualcosa?).
Quello che succede poi lo lascio a voi, non sono qui per svelarvi parti fondamentali del film.
ExistenZ appartiene a quel filone fantascientifico sviluppatosi attorno alla fine degli anni 90 di cui anche Gattaca fa parte. Il futuro è visto con una grande ansia, timore, ma sempre con grande lucidità. David Cronenberg in questo film ha saputo tenere alta la tensione, deliziando il pubblico con le sue famose scene di violenza, che saranno forse troppo ardite per gli stomaci di molti.
Memorabile la lunga sequenza al ristorante cinese, vero capolavoro Cronenbergiano. Scene crude e violente per un film che difficilmente non si ricorda negli anni a venire.
Un po' rimpiango questo Cronenberg, perchè quello di oggi è ormai schiavo di Viggo, come avevo già sottolineato qualche mese fa. In ExistenZ Jude Law fa la sua parte da stralunato e ci riesce molto bene, dando un tocco fumettistico indispensabile per la digestione dell'opera 9 anni fa.
L'impressione che ho avuto è stata di trovarmi dentro la bellissima Monkey Island, dove si sfidavano i pirati lanciando loro un guanto (il guanto di sfida, appunto), e dove il gioco, nei pomeriggi che trascorrevo al pc ai tempi delle scuole medie, a volte era più reale della vita stessa. Forse lo era anche per quel deficente della Virginia Tech.

sabato 7 giugno 2008

Recensione: 300 (2007)

hInutile dire che mi sono esaltato. Ho guardato 300 in un momento di sconforto, quando tutto stava per finire, e io pure, insieme al tutto. Gerard Butler, già visto più volte in ruoli minori, interpreta la parte di Leonida, pazzo furioso condottiero spartano, che alla testa di 300 uomini sfida l'arroganza di Serse, uomo-Dio sceso sulla terra per conquistare il mondo intero.
Leonida è un idolo. Barbuto, pizzetto a capra, codino alla Seagal intrecciato, petto depilato e fisico palestrato, è un vero duro tra i duri. Degno sovrano di una nazione di guerrieri gonfiati di anabolizzanti e col cervello di gallina, sacrificherà la vita sua e dei suoi per dimostrare al mondo il proprio valore, fronteggiando in battaglia mostri schifosi, giganti, creature degli abissi, e il putrido Efialte.
Sebbene in certi momenti si sentono battutine alla Seagal, e la poesia erodotea lascia spazio improvvisamente alla borazzia, credo che 300 sia un film ben fatto. Fumettistico finchè si vuole (e ci mancherebbe altro), epico, assurdo, sovrumano, potente. E, purtroppo, copiato spudoratamente da Braveheart, cosa che appare nota fin da subito, ma soprattutto nel finale. Tra i due film, però, c'è una differenza sostanziale: in 300 il sangue è interamente fatto al computer, in Braveheart con salutare succo di pomodoro.
I tempi cambiano, l'epicità rimane e si trasforma. 300 è sì un capolavoro, ma solo in relazione ai nostri tempi. Non sopravviverà a lungo nella memoria, ma lascia una lezione alla generazione nata negli anni 90, che lo considererà il proprio Braveheart. E andrà in giro fiera di sè, esclamando Auh, auh, auh !!!

lunedì 19 maggio 2008

Recensione Ristorante: Asahi, Bologna

Come tutti sanno sono un amante del buon cibo, della cucina raffinata, antica o moderna che sia.
Ho purtroppo avuto la cattiva idea di recarmi in un ristorante pseudo-giapponese in cui ero stato un paio di anni fa: Asahi, situato in via don Sturzo, alla Croce di Casalecchio.
Due anni fa mi ero trovato davvero benissimo in questo posto, ed ero rimasto estasiato dalla freschezza dei materiali, dalla completezza dei menu, e dalla bravura del cuoco che si esibiva nel taglio e lancio a 2 metri della frittata con una maestria davvero impareggiabile. Una coreografia davvero da sogno animava il locale, dove il nostro Sandokan, armato di coltelli appesi in cintura, cucinava all'istante cose meravigliose, in un tripudio di colori, fantasia, e colpi di genio, facendo sprigionare fumi colorati quando gettava pozioni magiche sulla piastra bollente. L'altra sera, però, non è andata così.
Entro nel locale, e senza neanche avere il tempo di dire che avevo prenotato per due, già mi fanno sedere in un tavolo defilato, allontanando di 10 cm il tavolo a fianco, su cui si va immediatamente a sedere un'altra coppia.
Già da qui capisco che per tutta la serata dovrò sorbirmi i discorsi dei due, data la vicinanza, e loro dovranno pure ascoltare i miei. Mando giù il tutto e mi guardo intorno. La luce all'interno del locale è bassa. Non soffusa, ma bassa.
L'apprendista stregone che tanto mi aveva impressionato 2 anni prima non c'è. Al suo posto, 3 cinesi con cappellino da baseball si avvicendano ai fornelli, tirando fuori in fretta e furia scarti di pesce surgelato che viene schiaffato sulla piastra bollente, producendo una fumana ferale.
Arriva subito il cameriere, abbastanza gentile ma dall'aria unta. Ordino una barca di sushi e sashimi, e tortelloni alla piastra. Guardo la parete, e nell'atmosfera bisunta vedo una zanzara tigre ferma sulla parete alla mia destra.
Ha l'addome gonfio, segno che anche lei è stata ospite del ristorante, o meglio, è stata ospite di coloro che qui hanno banchettato. Le luci si fanno ancora più scure, e non capisco ancora il perchè. Nei miei ricordi il posto era luminoso e allegro.
Poi, sfortunatamente, capisco le motivazioni di tanta oscurità nella sala. E lo capisco a mie spese. Il cameriere mi porta la barca di sushi. Guardo dentro, e vedo il colore del pesce. Un colore malsano, sbiadito. Il salmone è rosino smorto e sa di marcio, altri pesci non ben identificati sono rosa trasparente, e trasudano un liquido davvero rivoltante. Quando afferro il gamberetto, dalla testa esce del liquido nerastro che va a sporcarmi il piatto. Il wasabi è più scuro e meno intenso di come dovrebbe essere. Orrore: il sushi non è fresco!
Non mi rassegno, dato che ho pagato 1 euro a pezzo di sushi, e comincio a mangiare. E subito mi prende la nausea.
Più sono nauseato, più mangio, per cercare di trovare qualcosa che mi faccia cambiare idea, ma niente da fare. Nel frattempo arrivano i tortelloni. 4 di numero, a 3,50 €. Considerando che al ristorante cinese ne mangio 8 allo stesso prezzo, comincio anche a sentirmi preso in giro. La nausea mi sopraffa, e per cercare di metterci una pezza sopra mi guardo intorno. Tante persone sembrano contente dello schifo nei loro piatti, o forse cercano di sembrare intenditori delle porcherie che hanno ordinato. Conversano amabilmente, succhiando la testa del gambero crudo con avidità. Lasciamo dentro la barca 2 pezzi di pesce dall'aria più malsana, e attendo l'arrivo del cameriere per sparecchiare il tavolo. Questo, arriva e fa: "Tu non mangi quello?". Se fossi stato un po' più carico, l'avrei costretto a mangiarlo davanti a me, a succhiare con avidità la gelatina di batteri che usciva da quella crudità, pescata sicuramente settimane fa, e venduta a 1 € al pezzo a noi stupidi idioti.
Mi alzo, imbestialito e con lo stomaco sottosopra e vado alla cassa. Il conto è di 27 € a testa per aver mangiato robaccia sulla via della decomposizione.
Non viene emessa alcuna fattura fiscale, e pertanto me ne vado ancora più incazzato. Porgo i miei più distinti saluti ad Asahi e al suo staff, che ha capito come fare i soldi in Italia, evadendo le tasse e dando da mangiare porcherie ai propri clienti. Sicuro che non mi rivedranno mai più nel loro locale, li saluto cordialmente. Burp!

giovedì 8 maggio 2008

Recensione: Racconti da Stoccolma (When Darkness falls, 2006)

Solita dimostrazione di come noi italiani siamo bravi a tradurre (e sminuire) i titoli originali. "Quando cala l'oscurità", così lo chiameremo, è un film che parla di violenza in modo a mio avviso intelligente. Parte bene, continua meglio, e finisce in un modo non all'altezza. Ma andiamo con ordine, elencando le storie di cui questo film è composto: Leyla, ragazza pakosvedish, è considerata la vergogna della famiglia a causa dei ragazzi che frequenta. Aram, mascellone che ama fare lo splendido col Q7, gestisce un locale fighetto che viene preso di mira da una banda di criminali pagliacci. Carina, telegiornalista di successo, subisce le violenze del marito, pazzo psicolabile che gode pure della stima di tutti i colleghi della moglie. Queste storie si sviluppano parallelamente per quasi tutto il film senza scadere nel muccinismo, nell'haggismo, e nel più terraterra perbenismo. Il montaggio è realizzato davvero bene, e gli attori sono piuttosto bravi, a parte X che ho trovato davvero penoso. Dopo Evil - Il Ribelle, la Svezia ci propone un film intriso di violenza fisica e psicologica, con una colonna sonora fredda e martellante che contribuisce a tenere sveglia la gente in sala per 2 ore e 10 minuti. E non è cosa da poco.
Purtroppo però, dopo un buon 95% di film che faceva gridare al miracolo, scade tutto nel finale. I protagonisti delle 3 storie si ritrovano per caso all'aeroporto, partono, e i loro 3 aerei si incrociano, facendo venire in mente quella grossissima buffonata di Crash, esempio tipico di haggismo. Per di più, la colonna sonora dei titoli di coda è allegra, divertente, totalmente diversa da quella sentita durante il film. Il che, purtroppo, stona tantissimo, perchè fa sminuire quanto di serio si è visto poco prima, e lo riduce a una buffonata.
Tirando le conclusioni, che dire? Sicuramente i buoni propositi ci sono, la mano del regista pure, la storia anche, peccato per l'hollywoodismo più becero alla fine. Voto: 7.

mercoledì 30 aprile 2008

Recensione: Cop Land (1997)

Sbirrolandia. Ci troviamo in questo ameno paesino del New Jersey, in cui il nostro amico Sly interpreta la parte dello sceriffo ingenuo. Ingrassato, emaciato, con lo sguardo fisso, Stallone è un uomo frustrato, che ha perso l'udito da un orecchio nel tentativo di rompere a testate il finestrino di una macchina finita in fondo a un lago.
Attorno a lui il marcio totale. Un branco di poliziotti corrotti dalla mafia, in buona parte chissà perchè interpretati da attori italoamericani, vigila sulla città, incassando mazzette e tessendo loschi traffici alle spalle del povero Sylvester, relegato a sedare le risse tra ragazzini.
Ma grazie a De Niro, poliziottone di città dai metodi non convenzionali, Sly riuscirà finalmente a tirare fuori le palle dopo un'ora e mezzo di film (e 30 anni di soprusi); imbraccerà il fucile, digrignerà i denti, e farà una strage completa spiaccicando i (già) marci sui muri della città, con una precisione infallibile, degna del Rambo dentro di lui.
Un film carichissimo, con un cast eccezionale, in cui il nostro Sly si misura con un ruolo impegnativo, tutt'altro che facile.
Ottimo Ray Liotta nella parte dello sbirro tossico, e ottimi i personaggi da film di mafia. Mi avete rubato le parole di bocca: ancora una volta i tarantiniani grideranno al miracolo ;-).

lunedì 7 aprile 2008

Recensione locale: Kasamatta, Bologna (Italy)

Sabato sera sono tornato dopo qualche anno in vicolo Sampieri 3 per passare una serata nel noto locale bolognese "Kasamatta", più noto come "Vicolo" per chi si trova come me tra i 20 e i 30 anni di età, più noto ancora per la classe 1950 come "Sampieri".
Erano svariati anni che non mi recavo lì, e pertanto la prima cosa su cui mi sono voluto soffermare è stato il comportamento dello staff. Molto spesso (per non dire sempre) chi lavora in questi locali si sente Dio in terra per guadagnare poche centinaia di euro al mese, e investe la maggioranza di questi soldi in cocaina, che rende questo tipo di persone altezzose, sgarbate, maleducate, e soprattutto esaltate.
Invece, nota positivissima, ho trovato persone competenti e cortesi, a cominciare dalla sicurezza esterna al locale, fino a chi stava alla cassa. Il prezzo a liste chiuse (erano quasi le 2) è stato di 15 € uomo e 10 € per il gentil sesso, con una consumazione inclusa. Sono sempre stato contrario alle discriminazioni maschili sui prezzi delle entrate nei locali ;-) , ma alla fine il costo è perfettamente in linea con la media dei locali italiani, se non leggermente più basso. Costo eccessivamente alto invece per il guardaroba, 3 € a persona, un 20% in più della spesa di ingresso per l'uomo, e un 30 % per la donna. Al Sankeys di Manchester costava 1 sterlina (1,30 euro), al Tresor di Berlino 1 €, quasi ovunque in Italia 2 €. Tre euro a mio avviso sono troppi, ma compensano il costo del biglietto.
Nota positiva di questo locale, è che è diviso in più parti, adibite anche ad aperitivo e cena, pertanto chi non ama ballare o è troppo stanco per farlo, ha a disposizione zone più tranquille e ben arredate per riposarsi. Proprio l'arredamento è ben curato e non pacchiano, cosa che rende il locale molto piacevole. Il sabato è serata house, per cui gli aficionados di questa musica sicuramente avranno da divertirsi. Chi come me invece è adatto a qualcosa di più spinto in termini di busseria, si troverà a ballare su pezzati non proprio esaltanti, ma in ogni caso piacevoli. Altra nota positivissima è la temperatura! Dentro si sta veramente bene, non è troppo caldo e la ventilazione funziona bene. Finalmente!
Cominciamo ora coi lati negativi che ho riscontrato, e che fanno necessariamente calare il voto a questo di per sè ottimo locale.; in primis, la presenza di over 30 e over 40 arrapati, in cerca di ragazze giovani. Molto più giovani di loro. Nella fattispecie questi soggetti muniti di camicia a triplo colletto e facenti parte di presunti corpi militari statali, spesso pelati e panciuti, assediano senza sosta poveri gruppetti di neomaggiorenni, meglio se straniere, senza lasciare loro un attimo di respiro. Questi soggetti che ben conosciamo rendono pertanto poco divertente la serata a gruppi di ragazze non accompagnate. Molte mie amiche si sono negli ultimi anni lamentate del fenomeno, che avviene pressochè ovunque, ma in questo posto in misura maggiore, dato che per tradizione il locale ha serate dedicate in particolar modo agli over 30. Pertanto, si consiglia a coloro che non siano disposte a subire assedi prolungati di andare in questo locale accompagnate.
Altra nota negativa, l'uso spassionato del vocalist. Un personaggio che non solo a mio avviso rovina la musica, ma anche esagera con gli interventi, e che non dovrebbe neppure esistere se la musica è bella e di per sè fa ballare la gente.
Non ero l'unico a lamentarsi delle frasi idiote come "sabato notte kasamatta due zero zero otto su le ma-ni", anzi, ero in ottima compagnia. Assodato che l'unica voce che tollero è quella da tossico di Franchino, consiglio pertanto a chi gestisce questi posti di selezionare per tempo la musica e lasciare a casa i vocalist, che sopra la house non fanno altro che irritare la maggior parte della folta platea. In alternativa, concedere loro non più di 3 interventi all'ora senza assillare le orecchie già (poco) martoriate della clientela.
Inoltre, e qui si va molto sul personale, si fa fatica a entrare nel groove a causa del volume abbastanza basso rispetto ad altri posti. La sonorizzazione è ottimale solo al centro della pista, ma ai bordi lascia un po' a desiderare.
Nel complesso, pensando al target che questo locale vuole coprire, è un ottimo locale che si distingue dagli altri per la serietà del personale, la location, l'ambiente curato. Per gli esigenti come me in fatto di musica l'unica chance è spostarsi da Bologna preferibilmente verso l'estero, dove la filosofia con cui si organizzano le serate in discoteca è profondamente diversa. Ma a questo, dedicherò un post a parte.

giovedì 27 marzo 2008

Recensione: Il Petroliere (There will be blood), 2007


Approfittando del cinema a 1 € in occasione della settimana della cultura ho deciso di investire una frazione delle mie finanze per il nuovo film di Paul Thomas Anderson, che come tutti sanno è uno dei miei registi preferiti (e se non l'avete fatto, guardatevi Boogie Nights, Magnolia, e Ubriaco d'amore, tutti di questo regista).

Arrivato al cinema, dopo aver quasi scardinato la porta a vetri cercando di entrare (il cinema era ancora chiuso), mi sono subito trovato a dover lottare con nobildonne over 65 che non solo mi hanno chiesto cortesemente di spostarmi, in quanto io troppo alto, ma mentre il film iniziava conversavano amabilmente di creme per sgonfiare le gambe, Lasonil, e fasciature per i piedi.
Dopo averle messe a tacere, ho iniziato a godermi il film. L'orrendo titolo italiano dice già molto su quello che stava per essere proiettato, ma non racconta (per fortuna) la stupenda fotografia, la superba musica, e l'atmosfera di altri tempi di questo film.
Daniel Plainview (Lewis) è un cercatore di petrolio. Gira per gli acri californiani di inizio '900 a caccia di oro nero, e con le prime macchine rudimentali per l'estrazione mette in piedi un'impresa che lo farà diventare milionario. Questa è la trama di base, sulla quale si snodano alcuni temi fondanti che non svelerò a voi cari lettori, visto che questo film, della durata di 154 minuti, ve lo dovete sorbire tutto dall'inizio alla fine. Possibilmente senza la"sweet 65" che avevo seduta davanti a me, che commentava ad alta voce il suo totale schifo per la musica, cupa, dai toni luguri. In realtà non aveva capito che la musica è volutamente disturbante e parte fondamentale di questo film. Non è infatti sempre vero che la musica non deve influenzare lo spettatore, dipende da film a film.
Potrei citare la bravura di Daniel Day Lewis, che avevo lasciato con l'Oscar in mano per Il mio piede sinistro, ma nonostante la sua grande dimestichezza con la recitazione, ho riconosciuto un po' troppo i tratti del suo ultimo personaggio di successo, Bill Cutting di Gangs of New York.
Pertanto, con il sospetto che Daniel sia rimasto troppo attaccato a quel personaggio, su di lui metto un bel punto interrogativo, e non aggiungo altro. Lo lascio pertanto su IMDB.com dove lo potete ammirare con un completo scozzese e 2 splendide anelle da pirata agli orecchi destro e sinistro, come è solito presentarsi agli appuntamenti importanti.
Al solito, la regia di P.T. Anderson non delude. Abile a muovere la macchina da presa, già da tempo ha abbandonato i suoi tipici film corali per dedicarsi a opere meno complicate ma ugualmente profonde. Bene così.
Paul Dano non mi ha particolarmente entusiasmato, come non mi aveva entusiasmato in Little Miss Sunshine. A mio avviso non recita, fa il suo numero e basta, ma per stendere un commento su di lui dovrei sentirlo nella sua lingua originale.
Nel complesso, malgrado questi punti interrogativi da me evidenziati, posso dire di essere rimasto soddisfatto di questo film, che mi ha sorpreso per la storia coraggiosa e ben girata, le ambientazioni ben ricostruite e meditate, e per aver scoperto che "quando si hanno le nocette nei piedi non bisogna usare le creme, perchè non servono a nulla. Basta andare dal dottore che ho sotto casa, che è bravissimo. Te lo consiglio. Ah, il film è già cominciato"

martedì 4 marzo 2008

Recensione: John Rambo (2008)


Un capolavoro assoluto. Una bibbia del cinema di tensione e azione. Chi l'ha definito splatter, non ha capito niente, o forse non ha mai visto uno splatter.
Sono andato a vederlo ieri sera, al Capitol, spettacolo delle 20 30. Ad attendermi, un branco di ragazzetti sbreghini, che commentavano a voce alta ogni singola scena del film. Male per loro, perchè all'intervallo mi è toccato alzarmi, gonfiare i quadricipiti, impostare lo sguardo sulla modalità Security, e avvisarli di non ripetere il sacrilegio che avevano compiuto nella prima mezz'ora di film.
John Rambo è un film da vedere in religioso silenzio, per capire, per accumulare rabbia, violenza, ed emozione, e scaricarla sulle spalle possenti di Sly Stallone al momento giusto.
Troviamo il nostro eroe in Birmania, solitario e intento nella caccia dei cobra. Rambo è un guerriero stanco, e il passato lo divora giorno dopo giorno. E' un uomo altruista. Pesca usando arco e frecce, e dona il pescato ai bambini poveri. E' rimasto una vera e propria montagna d'uomo, con lo sguardo che dice più di mille parole.
Ma la sete di sangue e violenza, che tenta di reprimere, tornerà fuori presto, quando una missione umanitaria di sfigati arriverà al suo cospetto, pregandolo di guidarli lungo il pericoloso fiume birmano al fine di raggiungere villaggi dove un esercito sanguinario e meschino sta compiendo violenze di ogni tipo. E Rambo, dopo una prima titubanza iniziale, accetta.
Da questo momento in poi, comincerà la sfilza dei morti, in un crescendo di tensione e violenza che solo il nostro poteva creare, grazie a una regia movimentata, con scene spesso non perfettamente a fuoco, che i più addosseranno all'inesperienza di Stallone alla regia, ma che in realtà sono volute dal nostro eroe per sottolineare il caos e lo stato d'animo che si provano in questi luoghi.
Nonostante gli anni che passano, Rambo non ha disimparato l'uso delle armi. Anzi, ha affinato la sua arte pure nella tempra dei metalli, creando il business "Acciaierie Sly" in Birmania.
L'arco, il coltello, il mitragliatore, la bomba H. Sono le 4 armi da sempre predilette da Rambo. L'arco viene usato alla stregua di un fucile di precisione, per lavori puliti e ordinati. Il mitragliatore è per fare piazza pulita quando il grado di cattiveria dei suoi nemici è più o meno eguale, e va ricompensato al suono delle sole pallottole. Il coltello è l'arma che il nostro riserva a capi di esercito e sanguinari: con esso, le gole e le pance assumono la consistenza di burro caldo. E la bomba H, portatile, serve per disboscare gente in breve tempo.
Uscendo dal cinema con le lacrime agli occhi, ho giurato fedeltà a John Rambo. Se ha bisogno di qualcosa da me, sappia che sono anche io disposto a morire per qualcosa, piuttosto che vivere per nulla. E ora, Standing Ovation.

giovedì 28 febbraio 2008

Recensione: Non è un paese per vecchi (No country for old men, 2007)

Quando mi è stato proposto di andare a vedere al cinema un film dei fratelli Cohen, prima di accettare ho posto una condizione: per soddisfare i miei gusti cinematografici e la mia nota sete di cattiveria si sarebbe visto anche John Rambo, il nuovo capolavoro di Sylvester Stallone.
Difatti, sospettavo fortemente che mi sarei trovato di fronte al solito film pluricandidato (e pluripremiato) agli Oscar, che come da copione delude le aspettative di tutti. E così è stato.
Ovviamente i soliti tarantiniani gridavano al miracolo. A loro basta vedere un po' di sangue, tensione, pallottole, e un paio di colpi di scena non ancora visti (solo da loro) sul grande schermo. E a quanto pare, anche agli americani basta tutto ciò, al punto da eleggere questo film come 38° miglior film della storia del cinema, davanti a capolavori assoluti come The Shining e Le vite degli altri.
Al solito, basta che un film abbia più di un regista perchè si parli di film d'autore. Se poi il film viene girato da 2 fratelli che fanno Cohen di cognome, nella testa delle persone è sicuramente d'autore.
Dopo tutte queste premesse, mi sono riproposto di non informarmi su trama e commenti su questo lungometraggio, al fine di non lasciarmi influenzare. E sono arrivato al cinema completamente ignaro di ciò che stavo per andare a vedere.
E ho fatto bene, perchè anzichè mezza stella, si sarebbe beccato 1/10 di stella come voto. Su 5 stelle, ovviamente.
La storia parla di un povero contadino americano nullafacente che trova per caso una borsa con 2 milioni di dollari. Un pazzo scatenato interpretato da Javier Bardem, premiato con l'Oscar (era ora) gli darà la caccia al fine di recuperare i soldi, e ammazzando la gente sul suo percorso con una bombola di aria compressa.
Bardem è bravissimo. Non a caso, si è beccato l'unico Oscar sensato assegnato a questo film. Alto, con la faccia da stupido, un antiestetico caschetto, e silenziatore cromato, è il killer sanguinario e improbabile che pochi si sarebbero immaginati.
Tommy Lee Jones ha l'ingrato compito di tessere una storia parallela a quella di Bardem, dispensando luoghi comuni e lanciando una profonda riflessione sulla crisi dei valori in America. Tutto ciò, lungo una scia di sangue e violenza che tiene lo spettatore con il fiato sospeso per un bel po' di tempo. Troppo, anche per i miei gusti beceri.

martedì 19 febbraio 2008

Recensione: Crank (2006)

Avvertenza prima dell'uso: sto per recensire un film che oltre a essere stupido è pure brutto. Pertanto, non stupitevi se lo stile inevitabilmente scadrà, e se non mi dilungherò più di tanto.

L'immagine parla chiaro, non ci sono scuse. Siamo di fronte all'apoteosi del film cazzaro, alla morte del cinema d'autore, al trionfo del postmoderno. L'ometto pelato in foto con camice a pallini è il prescelto dai capi di Hollywood per diventare il nuovo duro più duro. Questo sosia di Bruce Willis è infatti Jason Statham, che noi per comodità e fierezza della nostra bandiera nomineremo da ora in avanti Giasone. Costui però interpreta la parte di Chev Chelios, che sempre per comodità e riminiscenze d'infanzia abbrevieremo con Cheerios.
Dopo questa seconda e vitale premessa, passiamo alla terza: la storia è in questo caso abbastanza complicata.
Ricky Verona, pseudo cattivone che ha un nome da attore porno, è un sudamericano pelato e con camicia di Gucci che a tradimento inietta un potente veleno nel collo taurino di Cheerios. Costui non è altro che un killer professionista in procinto di andare in pensione a 30 anni, ritirandosi a miglior vita con la sua ochetta Eve, completamente all'oscuro dei loschi traffici in cui il suo fidanzato sguazza. Il veleno in questione che circola nel collo di Giasone è denominato "Cocktail di Beijing", e già questo basterebbe per classificare il film. Tale pozione non fa altro che inibire la produzione di adrenalina, necessaria per non fare fermare il cuore. Di conseguenza, non essendoci antidoto, l'unico modo che Giasone avrà per sopravvivere sarà quello di provare forti emozioni, o in alternativa, di farsi delle più disparate sostanze come un punkabbestia di Via Petroni.
Già al secondo minuto del film lo vediamo comprare 2 grammi di cocaina: la bustina gli viene lanciata con disprezzo da un nero sulla fronte, e lui, sudato e in preda al panico, non manca di stracciarla per il nervosismo, spargendo la preziosa e vitale polverina per terra, e pulendo di conseguenza con le sue narici il lercio pavimento di un retrobottega di un night club aperto alle 2 del pomeriggio, e frequentato da fratelli afroamericani.
Di lì in poi, comincia il delirio totale. Cheerios inizia il suo viaggio in macchina dentro un supermercato alla ricerca di emozioni forti nonchè di vendetta nei confronti di Verona, che auspica che il veleno entri presto in circolo nel corpo possente del suo antagonista. Ma con l'aiuto di un finto medico dai gusti sado-maso, Giasone scoprirà nuove sostanze che lo portano a uno stato di fattanza sempre più alto, in cui tronca braccia con un trinciante, distrugge un mall con la sua macchina, atterrando indenne su una scala mobile, e tiene sotto scacco la polizia locale, incapace di fronteggiare un tossico del suo calibro. Seguiranno scene dalla recitazione imbarazzante, in cui quel pagliaccio di Ricky Verona dimostrerà di essere un cattivello da poco, e che se qualche duro vero (vedi Seagal) fosse in zona, sicuramente riuscirebbe a fargli piantare di tirarsela con la sua pelata da quattro soldi.
Il tutto è naturalmente farcito da orribili battutacce senza capo nè coda, che culminano con una scena di sesso in mezzo a Chinatown ai limiti della decenza, in cui il nostro eroe dagli istinti pedofili riuscirà finalmente a farsi la sua procace fidanzata, che avevamo già scoperto in American Pie essere esibizionista senza alcun ritegno.
Chi volesse vedere la scena di sesso più ridicola della storia del cinema, che non ha rivali neppure tra i film di serie B anni 70, può cliccare qui.
Dopo avere gustato questa scena, così come l'intero film, non posso fare altro che essere d'accordo con Giasone. Grazie a Dio, "I'm alive!!!"

domenica 10 febbraio 2008

Recensione: Cobra (1986)

- "Tu non lo farai.... porco! So che nn sparerai! La Legge punisce gli assassini...puoi solo arrestarmi se ci riuscirai...anche io ho i miei diritti, non è vero, porco? Arrestami, diranno che sono incapace di intendere e di volere. I giudici sono gente civile...non è vero, porco?"
- "Ma io no. Qui la legge si ferma e comincio io (pausa). Stronzo."

Ci troviamo nell'America degli anni 80. Il Nuovo Ordine Globale si sta diffondendo sempre di più, e branchi di pazzoidi armati di ascia bipenne si riuniscono in Mandrie, ululando come porci, e rotolandosi nel fango come lupi.
E' in questo infausto momento che iniziamo a conoscere Marion Cobretti, detto Cobra, poliziotto addetto ai "gasati" e avvezzo come sempre a metodi non convenzionali. Lo vediamo arrivare su una vecchia 1950 Mercury, col suo tipico occhiale a goccia specchiato dai riflessi blu. Stallone è in forma come sempre, e con la sua stazza da duro e le sue frasette ad effetto è l'unico in grado di sgominare la banda di pazzoidi sanguinari che si sta infiltrando ovunque, anche nel suo reparto.
In conflitto aperto coi suoi colleghi, ma sempre in coppia col suo fido tirapiedi Gonzales, il nostro riesce in imprese impossibili, si innamora della bella Brigitte Nielsen, e fa fuori un centinaio di Harleisti, giunti in uno sperduto paese di montagna della provincia americana per spaccargli la testa.
Ma il nostro Rambo è armato di tutto punto, lancia bombe a mano come noccioline, e apre i culi di tutti coloro che gli si presentano innanzi.
E alla fine, riuscirà a seccare anche il più pazzo dei pazzi, che lo fa innervosire con il dialogo che ho elencato in apertura di post, e per punizione verrà infilzato in un gigantesco amo, e spedito con posta raccomandata in un altoforno.
Più che la trama, merita un po' di attenzione il carattere di Silvestro.
In particolare, scopriamo presto cosa lo fa veramente incazzare: i giudici. Sono loro la vera causa del male negli USA. Sono loro che mandano fuori troppo presto dalle galere i criminali. Sono loro che non capiscono come stanno le cose nella vita reale. L'attacco alla magistratura di Sylvester dura dall'inizio alla fine del film. Mi ricorda giusto qualcuno. ;-)

sabato 9 febbraio 2008

Recensione: Sogni e delitti (2008)

Questa volta a scrivere una recensione è l'amico Mario. Facciamogli i complimenti per lo stile narrativo e la serietà con cui ha affrontato la stesura dell'opera.


Seguendo l'orma di Match point e di Scoop, Allen torna nella Londra fumosa che tanto ama, la capitale europea degli affari, che preferisce agli scenari delle metropoli statunitensi più adatti ad action o mafia movies.Il cast è per il 90% delle scene basato sul binomio Colin Farrell e Ewan Mc Gregor. I due sono due fratelli della piccola borghesia inglese. Farrell gestisce un'officina di auto, possibilmente d'epoca; Mc Gregor aiuta il padre nella gestione di un ristorante che sta colando a picco e da cui vorrebbe andarsene per investire i pochi risparmi in una partecipazione alla costruzione di hotel in california. E' il borghesuolo sognatore, a volte cinico ma di buon cuore, che ambisce a cicce della chioma fluente, dall'aspetto molto poco inglese, magari attrici, ma che certo ambiscono a tasche più piene delle sue; essendone consapevole, il buon biondino si fa prestare dal fratello le jaguar d'epoca che i pappa della zona gli portano per rimetterle a lucido. Farrell, peraltro, è un giocatore e uno scommettitore, e partecipa a tavoli di poker per cui già fatica a mettere il blind. E' senza denaro, ma la prima serata vince 30000 pounds ( 45 000 euro). Pochi giorni dopo però ne perde 90 000 e lì inizierà a sentirsi gli strozzini alle calcagna. Chiede i risparmi al fratello, che gli da un po' dei suoi risparmi rimpinguati dai furti che effettua al ristorante del padre. I due sono alla frutta: Mc Gregor deve mantenere uno standard di vita elevato per se e la sua nuova fiamma, una patatina mora niente male, che lo crede un pezzo grosso dell'edilizia mentre Farrell non sa come pagare i suoi debiti di gioco. Ma la bazza è in vista. Il loro zio materno, un chirurgo estetico che ha fatto fortuna in California e ogni tanto manda una busta di mancia alla loro famiglia, arriva in città. Appartatisi dopo pranzo, i due fratelli si rivolgono allo zietto per ricevere sostegno economico. Uno per i suoi sogni di grandezza, l'altro per ripagare gli strozzini. Il chirirgo si dimostra disponibile, ma a una condizione: ripagarlo con un favore molto più personale, pericoloso e immorale...
Allen con questo film è decisamente uscito allo scoperto, abbandonando gli aspetti più commerciali di Match Point: non vediamo più la Londra tutta lustrini, champagne e tennis clubs, ma i normali quartieri residenziali della city; inoltre il regista riesce a svincolarsi dall'idea della gnocca ispiratrice e protagonista (Scarlett Johansson), mettendo l'amore e le donne in secondo piano rispetto ai soldi, che sono la vera tentazione nel film. Gli attori si muovono bene; Farrell è l'ideale interprete di un meccanico timido, bevitore e ingenuo; Mc Gregor non ha una gran mimica facciale, ma il personaggio, raziocinante e british, non lo richiede più di tanto. La pellicola mostra i soliti riferimenti teatrali di Allen: le ambientazioni sono poche e le scene concentrate sui dialoghi dei protagonisti. Imperdibile qualche battuta di humour nero e qualche incontro equivoco, che trasudano la personalità di Allen a vista d'occhio. Il film non ha a che fare col fato o con la programmazione del delitto perfetto, tanto meno con indagini poliziesche. E' semplicemente un breve e neanche tanto intellettuale racconto del peccato per eccellenza, visto in chiave quasi biblica, ebraica, ma mai scivolante nel manicheismo puritano dei thriller d'oltre oceano. Male e bene non sono mai stati acerrimi nemici, e questo l'ironia di Allen lo fa capire. Semmai sono stati due categorie che hanno tormentato l'uomo nell'assegnare una connotazione morale alle proprie azioni, specialmente prima di compierle. Dopodicchè la verità si offusca, le menti pure, come i vincoli di sangue e il senso della propria esistenza. Da vedere.

martedì 5 febbraio 2008

Recensione: Uomini si nasce, poliziotti si muore (1976)


Se pensate che i film di oggi sono più volgari di quelli di 30 anni fa, probabilmente non avete visto questa perla di saggezza firmata da Ruggero Deodato.
Questo capolavoro appartiene al famoso genere poliziottesco tanto amato da Tarantino, e rispecchia apertamente il filone grazie a poliziotti con facce da modelli di Versace, donne nude che si eccitano solo a guardare i volti puliti di Lovelock e Porel, scene violente, e bastardaggine più che diffusa.
Siamo nella Roma dei traffici illeciti degli anni 70. Due rapinatori a bordo di una moto decidono di rapinare una donna appena uscita dalla banca. Questa, decisa a non mollare il suo prezioso carico, preferirà venire trascinata per la città eterna dai nostri, fin quando terminerà la sua corsa sfracellandosi il cranio contro un lampione. A quel punto, però, essendo rimasta attaccata ai soldi anche da morta, dovrà essere presa a calci in faccia da uno dei 2 balordi, che finalmente otterrà il prezioso bottino.
Per sfiga, sono presenti Lovelock e Porel, due poliziotti dai metodi non convenzionali appartenenti alla Squadra Speciale e che posseggono la licenza di uccidere, nonchè una buona dose di stronzaggine. Inizierà così un inseguimento che culminerà con un incidente pesissimo, in cui uno dei due rapinatori rimarrà ucciso, mentre l'altro, morente, passerà a miglior vita grazie a Porel che, a tradimento, gli tirerà il collo come una gallina. Tutto questo nella massima tranquillità. Davanti ai propri superiori, i due diranno "il mio è morto da solo", mentre Porel in tutta onestà affermerà "e al mio gli ho dato una mano".
Abbiamo già capito quindi che questo duo è formato da poliziotti molto speciali: bellissimi, freddi, sanguinari, e con un solo chiodo fisso in testa: le donne.
Volendo emulare Sean Connery, si presentano dalla loro Moneypenny con un vaso di fiori rubato dall'ufficio di fianco dicendo la quarta frase del film: "Con chi di noi scoperesti?".
Ci potremmo aspettare una sberla da parte della belloccia, che in realtà dimostra di essere alquanto disinibita, al punto da prendersi della "sporcacciona" dai due, che in fondo rispetto a lei sono più che integerrimi.
Seguiranno sangue, torbidume, scagnozzi, monnezza, e sparatorie, il tutto accompagnato da una colonna sonora incalzante e ben fatta. I due poliziottoni si divertiranno pertanto ad ammazzare criminali, dar fuoco ad auto di lusso, e bruciare vivi 2 poveretti che non c'entrano niente. Memorabile la frase pronunciata da Franco Citti: "E 'ttu 'Bbefana...nun ce l'hai da bere? Se non fosse che 'mmi servi, i' t'ammazzerebbi!". Vero, ********?

giovedì 24 gennaio 2008

Qualcosa sta cambiando

Ieri, oggi, domani. A quest'ora della notte guardo quello che mi passa davanti agli occhi, che è passato, e cerco di riflettere su quello che dovrà accadere. Guardo quello che sta attorno a me, dentro di me, e lontano da me. Possibilmente, concentrandomi solo sull'essenziale.
E capisco che in fondo ci sono chiari segnali di un cambiamento serio e imminente. Qualcosa me lo ha fatto intuire già da tempo. Ho capito che verso la fine di gennaio la mia persona sarebbe cambiata profondamente.
Credo nei segnali premonitori, è vero. Credo che se una cosa deve succedere, succede, e che la forza di volontà può fare molte cose.
Voglio scusarmi fin da ora con alcune persone con cui ho avuto un atteggiamento a dir poco ambiguo. Probabilmente questo le ha fatte irritare e probabilmente le ha confuse, deluse, rattristate.
Non sono cambiato poi molto dal ragazzo in foto. In fondo, sono sempre su un palcoscenico, ho la voce impostata e per non affrontare i volti bui del pubblico fisso le luci puntate sopra di me, puntando lo sguardo verso l'alto.
Nonostante tutto, so ancora ascoltare, e sono pronto a farlo in qualsiasi momento. Basta non prendermi in giro, basta semplicemente chiarire le idee, basta ascoltare il famoso grillo parlante che rode il cervello nei momenti più belli. La vita è breve, il tempo fugge, e la possibilità di parlare non è mai illimitata.
Se e quando cambierò atteggiamento, cambieranno anche molte cose insieme a me, e probabilmente in lato molto negativo. La possibilità che nulla cambi, però, non è da escludere. Basta, semplicemente, come io stesso sostengo, volerlo.

martedì 22 gennaio 2008

Recensione: Zombie '90 Extreme Pestilence (1991)


Per festeggiare l'inizio del nuovo trimestre universitario ho voluto concedermi un capolavoro del genere horror splatter amatoriale, che ha i suoi più grandi estimatori in tedeschi neonazisti e americani pazzoidi con habitat nel deserto dello Utah.
Andreas Schnaas è il regista di questo capolavoro assoluto, girato all'età di 23 anni ad Amburgo, città che bene si presta ad un'orrenda e pestilenta invasione di morti viventi.
La storia è fantasiosa e azzeccata: un aereo militare carico di sostanze zombificanti cade nei pressi della famosa Hamburg, irrorando la foresta di questo liquido. Un medico pazzoide col gusto del sangue si impadronisce della pozione e comincia a resuscitare morti, non calcolando però che la pestilenza ben presto si diffonderà, e gli zombie cominceranno a invadere la città, uscendo persino da lampadine, solai, e da scatole dello sciacquone del cesso.
Per 72 minuti il pubblico verrà letteralmente annaffiato di sangue, creato ad hoc da Schnaas con succo di pomodoro, per passare alle varianti più rosate del tema, create grazie al sugo ricotta e noci Barilla. Il regista usa una tecnica non nuova ma efficace per creare lo spruzzo: semplici tubi per annaffiare piante magistralmente nascosti negli stomaci sventrati delle vittime (che li coprono doloranti con i loro arti) vengono tenuti ad alta pressione finchè, sul più bello, le valvole vengono aperte e una fontana di passata Cirio inizia a diffondere condimento in giro, per la gioia degli zombie che, doppiati dallo stesso Schnaas, leccano e risucchiano vogliosi il loro nutrimento rossastro. Budella e cuori di bue, salsicce becere tedesche e condimento a volontà vengono sbattuti contro la telecamera, riuscendo a shoccare anche lo spettatore più smaliziato.
Proprio lo stesso Schnaas doppia la versione inglese del film, dimostrando una poliedricità tale da riuscire a doppiare tutti i personaggi con voci in falsetto, risucchiare e slappare nelle scene di "banchetto", e ululare in prossimità dell'arrivo dei nostri zombie. Questi, a loro volta, sono interpretati da brillanti attori tedeschi molto famosi a livello dei bordelli e dei cabaret da due lire locali.
Il trucco è esemplare: lo strato di cerone bianco dei morti viventi, che copre la faccia ma non le orecchie e il collo, è un chiaro indice di genuinità e di parsimonia nelle scene, girate nella migliore tradizione amatoriale con una telecamera VHS comprata al supermercato.
Memorabile la scena dove il dottore, in procinto di essere divorato dai nostri, sogna di essere sul cesso ad evacuare, e sul più bello si accorge di avere finito la carta igienica. Attuerà una decisione critica, ma intelligente: alzarsi in piedi, tirarsi su i pantaloni, ed uscire dal bagno. Io non ci avrei mai pensato.

giovedì 17 gennaio 2008

Recensione: La promessa dell'assassino (Eastern promises), 2007

Avevo nasato da tempo che dopo A history of violence David Cronenberg si era innamorato di Viggo Mortensen. E non mi sbagliavo.
Viggo, detto Aragorn, è uno degli attori che oggi più si prestano a fare la parte del delinquente dal passato vissuto. E tutto ciò grazie alle rughe dei 50 anni in arrivo, al teschio che ha al posto del viso e al suo sguardo invasato. Eastern Promises, film che vado a recensire, è cucito apposta sul nostro eroe.
A vederlo eravamo in 8. Forse perchè il cinema con intelligenza lo proietta solo alle 22 30, e preferisce tenere titoli come "L'allenatore nel pallone 2" in fascia pomeridiana e serale. La storia è molto semplice. Dopo un inizio in cui un barbiere mafioso con un rasoio da barba sgozza un appartenente di alto rango della mafia russa, colpevole di aver dato a Cassel dell'ubriacone, cosa vera e sacrosanta, una tossica va dal farmacista sbrodolando sangue. Portata in ospedale, la nostra crepa, nn prima di avere dato alla luce una bambina, il cui destino pare essere infausto.
Un'infermiera impicciona e stupida si preoccupa di rispedire il bebè al mittente, e decide di sottrarre il diario che la ragazza aveva con sè, per cercare qualche riferimento alla sua famiglia.
Purtroppo per lei, però, nel diario ci sono rivelazioni scottanti sulla famiglia di Cassel, sempre in forma nella parte dell'alcolista, e soprattutto sul padre, che si scopre essere pure il padre della piccola.
Il vecchio, che si fa notare per le lenti a contatto azzurro ghiaccio, è un boss russo di quelli tosti, che dietro al suo lussuoso ristorante, e tra un ociciornia e un'altra, gestisce traffici non ben precisati di armi, droga, prostitute, bottiglie di vino, e piccioni viaggiatori.
La nostra infermiera avrà la buona idea di andare a sputtanare a questo vecchio di essere in possesso del diario scritto dalla tossica, e da lì cominceranno ovviamente tutti i suoi problemi.
Non svelo altro riguardo la trama, perchè non voglio togliere al pubblico la sorpresa, ma parlerò della cosa più bella del film: le scene violente.
Il film è caratterizzato da un costante spargimento di sangue, che inizia con un paio gole tagliate, tra cui quella di uno spastico che viene sgozzato mentre piscia su una tomba in un giardino pubblico.
Segue poi un occultamento di cadavere che non è nulla di che, ma la vera sorpresa si ha con Viggo completamente nudo e tatuato nella sauna, per la gioia del pubblico femminile.
Sulla scia di A history of violence, Cronenberg manda al nostro Aragorn 2 sicari ceceni. Questi, ovviamente, per ammazzarlo secondo la tradizione non usano pistole, ma coltelli. E qui vediamo Viggo che, nudo come mamma l'ha fatto, si becca delle coltellate saltando per la sauna e volando letteralmente da una stanza all'altra, sempre con le palle per aria.
La scena, carica di sangue e violenza, culminerà con il nostro che, dopo un estenuante combattimento, fredderà un ceceno ficcandogli il coltello in un occhio, con conseguente sgorgamento di sangue denso sul pavimento di quella lurida sauna inglese.
Sono sincero: non mi aspettavo un A history of violence 2, ma in effetti così è stato. La trama l'avevo già intuita al terzo minuto, così come i combattimenti del nostro. Tuttavia, il film è ben girato, la storia non è male, anche se prevedibile, e soprattutto lancia un messaggio da non sottovalutare: se avete fatto qualche sgarbo a un barbiere, è meglio che andiate a farvi fare la barba da qualcun altro.

sabato 12 gennaio 2008

Recensione: Leon (1994)


"Leon, esattamente che lavoro fai per vivere?" "Le pulizie."
Cominciamo in questo modo a conoscere il ruolo da superprotagonista di Jean Reno, che quando non prende parte a kolossal e a film cazzaroni riesce a interpretare personaggi che lasciano il segno.
Leon è un killer professionista che prende sotto la sua amorevole tutela una giovanissima Natalie Portman, ragazza già allora difficile, con una famiglia sterminata da non ben precisati uomini legati all'antidroga, tra cui svetta un pazzoide che si fa di pillole colorate. E in quanto ad ammazzare la gente Jean Reno non ha nulla da invidiare a nessuno. E' veloce, svelto, sicuro di sè. Farebbe sicuramente coppia con Seagal: uno con la katana, l'altro con il mitragliatore.
Spinta da un'irresistibile voglia di vendetta, la nostra giovane prenderà lezioni di macelleria dal nostro cugino d'otralpe, che le spiegherà ogni trucco del mestiere in cambio di pulizie, compagnia, e bevute di latte insieme.
Ovviamente dovrà fare pratica su persone vive, sparando proiettili pieni di vernice rossa. Interessante ed esaltante è stato per me vedere che una delle sue cavie era proprio Robert LaSarda. Non l'ho citato nella recensione di Duro da Uccidere, ma il nostro Robertino è uno dei punk che ammazzano il povero vecchio dello store dove Seagal esce senza pagare. Seagal lo punisce bastonandolo a dovere, e girandogli il piede a 270°, una delle scene più cruente del film. Anche qui non se la caverà: dopo le sadiche prove coi proiettili finti, Leon penserà di cessare la cacca a spruzzo di Robertino, freddandolo con 2 colpi.
Sono sincero: mi aspettavo molto di più da un film che gli utenti di IMDB hanno collocato come 38° miglior film della storia del cinema, davanti ad Arancia Meccanica e a Le Vite degli altri.
In primis, ci sono tantissime imprecisioni che rendono il film estremamente finto. Tra tutte, Jean Reno non ha certo la faccia da italiano, così come un nome tipico del Belpaese: Leon (Leone, nella sua variante italica).
Poi le figure dei poliziotti corrotti sono assolutamente fumettistiche: emergumeni strafatti di coca e pillole che si comportano in modo assolutamente irrealistico hanno poco a che vedere con i distretti di polizia. Per di più, l'amicizia con la bambina si evolve in modo totalmente irregolare e ambiguo. Sostanzialmente, la psicologia dei personaggi pare l'abbia curata Vittorino Andreoli.
Non so se Besson voleva fare un film apposta esagerato, ma non vedo grossi spunti di riflessione dietro una storia fatta di sparatorie e qualche leggero tocco di violenza (niente a che vedere con Seagal naturalmente).
Deciderò domani se cestinare il film o meno. Intanto, attendo qualche vostro commento.

venerdì 11 gennaio 2008

Boz risponde a Francesco: Babel


Caro Francesco,

ho letto la risposta alla mia recensione che hai pubblicato qui. Mi scuso coi lettori se sono stato troppo ermetico, ma purtroppo alle 2 di notte dovevo ancora ragionare bene sul piattume che avevo appena visto.
Prima di tutto tengo a precisare che la mia questa volta non voleva essere una recensione, che implica necessariamente anche trama e temi del film, ma una pura critica, come dimostra anche il tag che ho affibbiato al post.
Veniamo ora al film, se così si può definire. Il film affronta le indiscutibili tematiche che tu, Francesco, hai sottolineato, ma lo fa in un modo scostante, indiretto. Il regista si trasforma in una sorta di narratore onnipresente e onnipotente che si intrufola nelle scene più ridicole e penose, vedi ad esempio quella del bambino arabo che si masturba dopo aver visto sua sorella nuda, o la sordomuta giapponese dalla sessualità alquanto repressa che spalanca le coscie in giro. Pare che Inarritu voglia infilare il sesso a tutti i costi per ravvivare la trama. Lo fa anche quando l'americana si piscia addosso con Brad Pitt al suo fianco. Quello forse è il momento più sessualmente carico di tutto il film.
Ma di per sè il film lascia poco, perlomeno al sottoscritto e a una parte di amici che la pensano come lui.
Si ha come l'impressione di trovarsi in un neorealismo pasoliniano con una trama scritta sull'aria attraverso segnali di fumo.
Il film scivola, vola via sull'elicottero della Croce Rossa che porta in salvo i nostri eroi, che piangono tutto il tempo, sono incasinati, si spogliano, sono in mezzo al lerciume, sporchi di sangue e di vuoto. E non lasciano nulla allo spettatore, se non un grande dubbio: "Di cosa parlava sto film?".

giovedì 10 gennaio 2008

Critica: Babel (2006)


Ci risiamo. Dopo quella immensa buffonata di 21 grammi, Inarritu è tornato con il solito film corale. 10 protagonisti sparpagliati per il mondo e legati da un fucile. Più di questo non dirò, visto che se svelassi la trama in realtà arriverei agli ultimi 10 minuti di film.
Copione già visto, rivisto e stravisto, che i tanti abituati a guardare film di mafia e di Tarantino (perchè sono cool) apprezzano e glorificano. Peccato per loro.
La regia del film è ottima, così come gli attori, il trucco, la sceneggiatura. Tutto studiato ed eseguito al meglio. Ma purtroppo ancora una volta il manierismo trionfa, così come la telecamera a spalla, i piagnistei e il dramma imperante.
E' vero, c'è molto di peggio. Ma è grave che la gente da "Quei bravi ragazzi" pensi che questo sia un bel film. Che sia un film, per così dire, impegnato.
Purtroppo non si è ancora capito che i film d'autore sono altri. E fin quando questo non entrerà nella testa delle persone, e soprattutto nelle sale cinematografiche, allora Crash potrà vincere 3 oscar, questa roba sarà "il meglio in circolazione", Muccino sarà il re dei registi italiani, suo fratello scriverà sceneggiature con Verdone, e DeSica a Natale sbancherà i botteghini.
E tutti osanneranno quella cazzata di The Departed, perchè stupisce, perchè è un film che dura 3 ore e gli attori sono bravi. Ma soprattutto perchè qualche pirla, senza neanche averlo visto, ne ha parlato bene. Bleah.

venerdì 4 gennaio 2008

Buon anno, Boz!


Che i ferraresi fossero maestri nell'augurare cancri e lanciare accidenti era cosa nota. Ma che portassero pure sfiga, beh, non me lo aspettavo.
Ieri sera, di ritorno da una vacanza in Germania con Laura, un simpatico signore accanto a me parlava della linea Bologna-Venezia, su cui lui viaggia da tanti anni. A suo dire, è una linea preferita da coloro che vogliono suicidarsi buttandosi sotto il treno. A suo dire, erano almeno 2-3 anni che nessuno decideva di autoseccarsi sotto una motrice.
Passati 10 minuti da questi suoi racconti, all'altezza di Monselice il treno ha frenato. E' rimasto fermo per circa una decina di minuti, in cui tutti hanno continuato a parlare, ridere, scherzare. Poi l'annuncio del capotreno. "Ci dispiace, ma abbiamo appena investito una persona, e questa persona è morta". Il tutto sotto la neve che cadeva lentamente, in silenzio, in mezzo agli agri veneti, dove lo squallore è tanto grande quanto l'economia che gira in questi posti.
Buon anno, Boz. Che quest'anno cominci meglio di come è finito il 2007, iniziato alla grandissima, e finito molto male. Che ci siano casini sempre più grossi ma sempre più risolvibili, e che la follia continui a motivare le mie giornate. A me, e a tutti quanti, i miei più cari auguri.