sabato 28 gennaio 2012

Recensione Ristorante/Pizzeria: Antico Borgo (Bologna). Ovvero, "Ritenta e sarai più fortunato"

Dispiace sempre dover parlare male di un ristorante, specie quando il problema è dovuto alla serietà o alla cafoneria di gente che lavora. Lavora sì, ma solo in senso figurato. 
Tali persone non sanno nemmeno cosa voglia dire lavorare. Potranno dire che si alzano la mattina presto e fanno una vitaccia. Potranno tirar fuori la classica spiegazione all'italiana: "Sono un padre di famiglia", come se essere padri possa sopperire alle cazzate fatte.
Potranno persino inventarsi qualsiasi patetica scusa, addossandovi responsabilità inesistenti. Purtroppo per loro, però, stavolta c'è solo da nascondersi.
Riporto con la massima imparzialità l'esperienza di questa sera. Il locale, a scanso di equivoci, è sito in via Rimesse 8. E' carino, e fanno anche parecchie specialità di pesce che però non abbiamo provato.
Andiamo in 4 a mangiare e ordiniamo 4 pizze. E' sabato sera, e aspettiamo una buona mezz'ora prima di riceverle al tavolo. Poco male, mi dico. In fondo è sabato sera. 
Peccato che, delle 4 pizze, la mia è visibilmente bruciata ai bordi, al punto che la crosta è immangiabile. Data la fame, e dato che il cameriere sparisce subito, decido comunque di mangiarla tralasciando ovviamente tutti i bordi. La pizza è secca, e sa di bruciato. Gli ingredienti sembrano di buona qualità, almeno all'origine, ma sono visibilmente cotti troppo a lungo. Le altre pizze dei miei commensali, però, sono perfette. Hanno un bell'aspetto, la crosta è morbida e l'impasto è ottimo. Sono, di fatto, altre pizze rispetto alla mia. 
Finisco di trangugiare il tutto data la fame che ho, e aspetto con ansia il cameriere, che si fa vedere dopo un bel po' di tempo, dato il carico di lavoro, e pure le chiacchiere da fare con altra gente sua amica.
Dato che avevo fame, ero pronto ad ordinare un'altra pizza o un calzone per cercare di riparare alla recensione negativissima che sarei andato a scrivere. Purtroppo, però, le cose sono andate diversamente.
Arrivato il cameriere, gli faccio notare come le pizze degli altri fossero davvero buone, e la mia bruciata. La risposta del tipo, che mi ha guardato con la faccia come il culo, mi ha, però, lasciato senza fiato: "Sono cose che possono succedere. Il sabato teniamo il forno più alto e basta un attimo perché la pizza si bruci. Sei stato sfortunato. Ritenta, e sarai più fortunato. Volete qualcos'altro?"
La risposta è stata scontata: "Sono a posto così". 
Già servire una pizza bruciata è atto criminoso, ma non riconoscere i propri errori e nemmeno scusarsi, senza proporre nulla per rimediare, mette in luce l'assenza totale di serietà del locale, che è incapace di fronteggiare un cliente insoddisfatto. Anzi, lo fronteggia prendendolo per il culo. E facendo pagare a prezzo pieno la pizza bruciata sul conto. 
La serietà di una pizzeria si misura anche con il non lasciare nulla al caso. Se una pizza esce bruciata dal forno, la si rifa e non la si propina a colui che paga gli stipendi ai lavoratori del locale!
Cari amici dell'Antico Borgo, stasera avete fatto una figura penosa
Con il vostro pressapochismo e la mancanza di professionalità siete riusciti a rovinarmi la serata. 
Potete starne certi: non ritenterò mai più la fortuna nel vostro locale. 

sabato 7 maggio 2011

Recensione film: Machete (2010)


Grandi aspettative c'erano per il nuovo, esagerato lavoro di Robert Rodriguez che, da sempre, è molto attento al genere cazzarone di cui tanto si è parlato in passato su questo blog. Purtroppo, però, le aspettative sono state solo in parte soddisfatte. Danny Trejo, amerimessicano di genere, è Machete, venuto sulla terra per spaccare culi e uccidere il perfido Torrez, impersonato da uno Steven Seagal leggermente dimagrito e munito di katana. 
Scene violente e trash a gogo, come da copione, ma..qualcosa non torna. 

Il film è girato malissimo, il montaggio fa pena, la storia praticamente non esiste. Machete non ha un minimo di carisma e non sa fare altro che sparare stronzate dall'inizio alla fine, senza che abbia lo spessore che in passato i grandi del genere cazzaro ci hanno regalato a più riprese. Nulla a che vedere con Cobra, Rambo, Mason Storm, e John Matrix, tanto per citarne alcuni. 
Epica la scena dello sbudellamento, epiche alcune gag, meno belli alcuni dialoghi presi da Bud Spencer e Terence Hill, ma se si vuole girare la cazzata, almeno lo si faccia con un briciolo in più di serietà, senza dare l'impressione al pubblico che neppure chi è dietro la macchina da presa creda veramente in quello che sta facendo. E' un peccato che da un trailer che prometteva benissimo sia venuto fuori un macello del genere. Peccato, peccato, davvero.

domenica 10 aprile 2011

Recensione film: The next three days (USA, 2010)

Niente male, Paul Haggis. Dopo aver visto quell'obbrobrio di Crash (2004) mi aspettavo un altro filmaccio buonista, invece mi sono trovato davanti ad un'opera imperfetta ma nel complesso valida. Complici un gladiatorico Russell Crowe particolarmente su di giri, un comparsaro Liam Neeson, un Daniel Stern in un ruolo serio, e un Brian Dennehy sagace, il film si lascia guardare molto bene, a tratti risulta veramente molto toccante, ben girato e ben interpretato. Cosa può fare un uomo che non ha più nulla da perdere? Qualsiasi cosa. Ed è proprio in base a questo principio che Russell, disperato per l'incarcerazione della propria moglie, decide di tentare il tutto per tutto per salvarla e ricomporre la sua famiglia.
Cosa non mi è piaciuto? Gli ultimi 5 minuti di film, visti innumerevoli volte. Non mi è piaciuta la scena finale, che lascia il film senza coda e non riesce a concludere la storia. Non mi è piaciuta l'accoppiata sbirro bianco e sbirra nera, vista negli ultimi anni almeno 40 dozzine di volte (tanto per citarne una, in Prison Break), e il loro comportamento sempre uguale e assolutamente prevedibile. Non mi è piaciuta la colonna sonora alla fine del film che, come usa ad Hollywood, cerca di risollevare gli animi dopo 2 ore di film piuttosto cupo, risultando però una presa in giro per gli spettatori reduci da una storia intensa e, se vogliamo, anche un po' triste. Ma Haggis non è nuovo a queste cose, lo conosciamo bene, e in qualche modo gliele riconosciamo: è capace dopo una commedia d'amore di inserire un pezzo black metal, e dopo un film drammatico di mettere una sorta di canzoncina da film adolescenziale, come ha fatto in questo caso. Forse in America funziona, ma qui non mi pare proprio.
Voto: 7/10

martedì 22 marzo 2011

Recensione film: Dylan Dog (2011)


Una merda. Non ci sono altre parole per definire Dylan Dog, l'ultimo scempio visto al cinema domenica sera. Il simpatico Brandon Routh (ovviamente subito risoprannominato Brandon Rutto) e il suo compare idiota Marcus, alias Sam Huntington, che non vedevo dai tempi del kolossal Da giungla a giungla, sono riusciti non solo a farmi venire la sonnolenza per la prima parte del film, ma a farmi venire l'istinto di alzarmi ed andare via nella seconda. Un film squallido, ambientato in Louisiana, dove Dylan Dog mai e poi mai avrebbe potuto vivere, con alcune frasi tipiche di Dylan buttate a casaccio qua e là, e una serie di dialoghi orridi, che hanno fatto ridere solo 4 (ripeto, 4) persone su circa 150 che eravamo in sala. 
Una recitazione così penosa non si vedeva dai tempi dell'oramai noto Augusto Rusco. Tra Huntington, Rutto, e Anita Briem non si capisce chi faccia peggio. Forse proprio la Briem.
Il film è una sorta di Blade 4 ridylandogghizzato, con una presenza di vampiri fuori misura, effettacci speciali da primi anni 2000, scene prese direttamente da Last Days - Giorni contati e una trama le cui linee guida sono già chiare al decimo minuto di film, ma che non sempre risulta chiara, anzi, è facilissimo perdersi nei suoi deliri e nel suo malfatto taglio fumettesco.
Non si capisce, infatti, cosa questo film voglia essere. Un remake? Un omaggio a Sclavi, peraltro citato più volte? A mio avviso, semplicemente uno schifo. Mi dispiace che un attore del calibro di Peter Stormare abbia accettato di prendere parte allo scempio. Lui, però, è l'unico che come recitazione si salva. 
In conclusione, il mio consiglio spassionato è di stare alla larga dall'obbrobrio, sia in modo da tenersi 8 euro per fare altro, sia per tenersi i 15 -20 euro che costeranno il dvd e il blu-ray che tra qualche mese occuperanno impunemente spazio prezioso negli scaffali dei negozi di tutta Italia.

domenica 6 marzo 2011

Recensione film: La vita facile (Italia, 2011)

Sono appena tornato dalla visione di La vita facile, il nuovo film di Lucio Pellegrini con Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Vittoria Puccini, e Camilla Filippi. E sono rimasto abbastanza soddisfatto della visione.
Dico abbastanza, perché qualcosa da limare in effetti c'è, ma la commedia è davvero ben girata e ben recitata, pertanto le si può perdonare più di qualcosa.
Ambientato in Kenia, il film racconta la storia di due amici medici, entrambi, a loro modo, bastardi, e interpretati da un Favino a metà tra Alberto Sordi e Carlo Verdone, e da Accorsi, sempre più gigione, come tradizione vuole. Tra di essi una Vittoria Puccini nella media, non sempre credibile e spontanea come ci aspetteremmo.
Per una volta, e qui sta il grande pregio del film, la cornice africana resta solo una cornice. I dialoghi e gli sketch di cui i nostri sono protagonisti la fanno da padrone, e i bambini e le tribù africane restano sempre in secondo piano, senza che lo spettatore abbia l'impressione che il regista punti sullo strappalacrime, sugli stereotipi legati ai bambini di pelle nera, sui panorami mozzafiato, al fine di mascherare una trama piatta e balorda, cosa successa ad esempio in quel capolavoro del becero chiamato Che ne sarà di noi.
Qui, a parte una partita di calcio che si poteva evitare di girare, la regia è stata veramente attentissima a non cadere quasi mai nel banale e nel didascalico, che vanno di pari passo. A Favino tocca la parte dell'italiano medio, bastardo ma tremendamente simpatico e capace di trainare il grosso delle risate in sala in modo del tutto spontaneo. Nel complesso, sembra il migliore, seguito subito dopo da Accorsi che non se la cava male, ma è sempre legato a quelle espressioni miagolose che tanto hanno fatto la sua fortuna in passato. 
Cosa c'è allora che non va? Ci sono un paio di scene al rallentatore francamente brutte e incomprensibili. E' un rallenty scattoso che francamente non ci sta a dir nulla, dato che dura pochi secondi in 2 scene che potevano tranquillamente essere girate normalmente.
Il finale, poi, è maledettamente prevedibile. Anzi, direi proprio scontato. Peccato, perchè il 90% del film fila via davvero liscio tra gli sketch dei due nostri, e ci aspetteremmo un finale non così scontato, come quello propinato, che è, in realtà, uno pseudo-non-scontato. E', cioè, il modo classico di far finire un film cercando la soluzione "all'italiana", ma in realtà si poteva fare ben di più e cercare qualcosa di davvero nuovo e originale. 
Tuttavia, la sapiente regia di Pellegrini salva il lavoro che, per quel che mi riguarda, risulta ampiamente sopra la sufficienza. E' un 7/10. 

sabato 19 febbraio 2011

Recensione film: Il cigno nero - Black Swan - (USA, 2010)

Squadra vincente non si cambia. Aronofsky alla regia, Clint Mansell alle musiche, e la Protozoa Pictures, sempre di Darren, in prima linea a realizzare l'ennesimo capolavoro: Black Swan.
Ancora una volta il nostro regista mette in scena un turbinio di immagini disturbanti, emozioni, e trip mentali, come solo lui sa fare, per un film entrato a pieno titolo nella storia del cinema.
Ambientato in una New York cupa e grigiastra, Black Swan non è solo la storia della ballerina Nina, magistralmente interpretata da Natalie Portman, ma anche uno spaccato nel mondo della danza, con le sue invidie, il marcio, e la tanta fatica per arrivare. Un marpione Vincent Cassel e un'ambigua Mila Kunis condiscono l'opera del Maestro che, dopo la parentesi hollywoodiana di The Wrestler, ritorna alle origini con un film in salsa Requiem for a Dream & The Fountain, dai quali riprende parecchie tematiche. Ho letto di chi non ha apprezzato la cosa, a mio avviso in questo caso ci può stare, come se Darren voglia in qualche modo legare le sue opere a un filo conduttore comune.
Gli ultimi 15 minuti valgono l'intero film. Sono un capolavoro, un tornado di immagini splendide, emozioni, e ansia. Grande Aronofsky, anche stavolta hai colpito nel segno.

venerdì 4 febbraio 2011

Recensione Ristorante: Osteria Al 15 - Bologna

Qualche settimana fa ho deciso di provare con un gruppo di amici un'osteria che mi era stata più volte segnalata. Ed è andata piuttosto bene. Il locale è nel centro storico, in via Mirasole 13/15, molto vicino a Porta San Mamolo e a via D'Azeglio. Trovare il parcheggio il sabato sera non è cosa facile, ma basta fare un giretto su per via San Mamolo per poter trovare un posto anche relativamente vicino al locale. Nel mio caso, ho parcheggiato davanti a una farmacia su via San Mamolo, a non oltre 3-4 minuti a piedi di distanza. 
Il locale è molto carino, ben arredato, e l'atmosfera è molto familiare. Non è un ristorante di lusso, ma non è neppure una bettola: è un'osteria nel vero senso del termine, per giunta molto ben curata e gestita. Noi eravamo in 4 abbiamo preso primi piatti differenti, in modo da poterli assaggiare tutti, e come secondo crescentine e tigelle per tutti. Riporto i pareri di tutti, in modo da avere un parere oggettivo il più possibile. Come antipasto abbiamo preso la ricotta con l'aceto balsamico. Io sono rimasto alquanto indifferente, altri sono andati giù di testa. De gustibus, a questo punto.
Rischiando volutamente, uno di noi ha ordinato i tortellini alla panna, e il giudizio è piuttosto vario: a me non hanno detto granchè, perchè sono abituato a mangiarne spesso con un ripieno ricco di noce moscata, mentre questi mi sono sembrati privi di noce moscata e dunque insipidi. Agli altri tre sono piaciuti molto. Su una cosa siamo stati tutti d'accordo, e ciò riguarda tutti i primi piatti: i condimenti sono veramente buoni e abbondanti, e ampiamente sufficienti a condire tutta la pasta in gioco. Abbiamo anche provato gli spaghetti alla chitarra con guanciale e radicchio rosso, molto buoni e gustosi (parere di tutti e quattro). Anche le tagliatelle al ragù non ci hanno deluso, anzi, ci sono sembrate veramente ottime oltre che abbondanti. Per ultimo, abbiamo assaggiato i tortelloni ai carciofi, decisamente buoni. Se volete andarci in coppia, e seguire il mio personale parere, vi consiglio di ordinare le tagliatelle al ragù e gli spaghetti alla chitarra. Abbiamo quindi proseguito con tigelle, crescentine e affettati. Questi ultimi, a parere di tutti, erano veramente di ottima qualità, nulla da ridire. Prosciutto e mortadella ottimi, così come lo squacquerone, i sottaceti, e tutto il resto. Personalmente, mi sono piaciute sia le crescentine, poco unte, sia le tigelle, ma qui i pareri sono discordanti. Qualcuno ha trovato le crescentine troppo gommose, qualcun altro le tigelle troppo secche. Io, considerato il tipo di locale, ho trovato tutto piuttosto buono. Per ultimo, abbiamo terminato con i dolci: per me zuppa inglese, per gli altri panna cotta. Bene, siamo tutti rimasti più che soddisfatti sui dessert, buonissimi veramente, e preparati in casa. Abbondanti e straordinari direi, pensando a quando in certi ristoranti chiedi la panna cotta e ti servono quella di busta. Qui il discorso è, ovviamente, opposto. Nota positivissima quindi sui dessert.
Unica cosa che non ho per nulla gradito è stato il vino, servito alla spina, di qualità bassa. Non così bassa come quello bevuto in una fraschetta ad Ariccia, che mi ha fatto girare la testa per ore, ma bassa abbastanza da berne un sorso e lasciarlo lì. Agli altri miei commensali, invece, il vinaccio da osteria è piaciuto perchè "è il vino da osteria".
Spesa finale, comprensiva di caffè: circa 25 euro a persona. Rapporto qualità/prezzo a mio avviso valido nel suo complesso. In conclusione: 2 primi piatti su 4 molto buoni, affettati, squacquerone e dessert ottimi, ma sul resto ci sono discordanze. Siamo noi, forse, ad essere troppo esigenti? Provatelo e sappiatemi dire.